mercoledì 30 gennaio 2008

REPORTERS SANS FRONTIERES

ERITREA "Il giornalista Seyoum Tsehaye si trova nella cella numero 10 della Sezione A01": nuove rivelazioni sulla prigione di Eiraeiro Alla vigilia del vertice dei capi di Stato dell'Unione Africana (31 gennaio-2 febbraio 2008), Reporters sans frontières esorta i Paesi membri ad intervenire presso le autorità eritree. Inoltre RSF chiede all'Unione Europea di applicare sanzioni individuali contro i responsabili della prigione. Il giornalista eritreo indipendente Seyoum Tsehaye, ultimo vincitore del Premio Reporters sans frontières – Fondazione di Francia, è ancora in vita e risulta detenuto nella cella numero 10 della Sezione A01, riservata ai prigionieri politici più "pericolosi", della prigione chiamata "Eiraeiro", situata in prossimità di Gahtelay, a nord della strada Asmara-Massaoua. Questa informazione è stata trasmessa a Reporters sans frontières nel mese di gennaio 2008 da un informatore eritreo, che chiede di rimanere anonimo, dopo essere riuscito a penetrare nel penitenziario, un carcere segreto nascosto in una regione montagnosa e desertica del Paese. Secondo quanto ha riferito questo testimone, Seyoum Tsehaye è stato trasferito a Eiraeiro nel 2003. Molto agitato, il cranio rasato, con una lunga barba, Tsehaye si è più volte ribellato ai soldati incaricati di sorvegliarlo, rifiutando il cibo del carcere e continuando a ripetere: "ho solo fatto il mio lavoro", "era mia responsabilità..." "non me ne importerebbe nulla di morire qui"... Di Seyoum Tsehaye, tornato alla fotografia e al suo lavoro di regia cinematografica dopo essere stato direttore della televisione pubblica all’indomani dell'indipendenza del Paese, non si erano più avute notizie dal mese di aprile 2002. Proprio in quel periodo, numerosi detenuti politici, con a capo Fessehaye Yohannes detto "Joshua", erano stati trasferiti dalle autorità in un luogo sconosciuto, per nascondere all’opinione pubblica lo sciopero della fame iniziato dai prigionieri ai quali era stato negato il diritto di essere processati. Con una decina di altri direttori di giornali e capi-redattori, Seyoum Tsehaye era stato fermato durante l’ondata di arresti voluta, nel settembre 2001, dal presidente Issaias Afeworki e dai suoi collaboratori, dopo che numerosi esponenti del partito unico e dell’esercito avevano pubblicamente chiesto riforme democratiche per il Paese. L’informatore di Reporters sans frontières ha descritto con precisione il carcere, il suo funzionamento e le condizioni di detenzione dei prigionieri. Alcune informazioni al riguardo sono state diffuse nel 2006 a seguito di un rapporto dei servizi segreti etiopi. Si trattava tuttavia di testimonianze indirette. Questo rapporto sintetizza invece le cose viste e descritte dal nostro testimone diretto – che ha incontrato un rappresentante di Reporters sans frontières – e che conferma le prime informazioni diffuse su questo carcere di alta sicurezza, considerato "non il peggiore dell’Eritrea." Come vi si entra I prigionieri destinati a Eiraeiro vi sono condotti, gli occhi bendati, su una jeep. Il carcere si trova a pochi chilometri dal villaggio di Gahtelay, nella regione del Mar Rosso settentrionale. Le variazioni climatiche che caratterizzano questa regione sono notevoli. Le temperature diurne possono raggiungere i 40 gradi e, durante la notte, possono scendere sotto lo zero. A metà strada tra il villaggio d’Asus e la città Filfil, una nuova strada si snoda in una zona montagnosa ricoperta, in passato, da una piantagione di caffé. Dopo circa 45 minuti di viaggio, il percorso è interrotto da un primo check-point. Numerosi soldati sorvegliano questo primo posto di blocco che può essere superato unicamente con un lascia-passare timbrato dall’ufficio presidenziale. Il responsabile del posto di blocco deve telefonare al direttore del penitenziario e procedere all’ispezione dell’auto prima di permettere al prigioniero e ai suoi sorveglianti di continuare il viaggio verso quella che nelle cartine militari dell’esercito viene definita "zona 346". Dal 2005, le unità speciali incaricate di sorvegliare il penitenziario indossano uniformi beige mimetiche e, prima di essere destinati al carcere, sono costretti a giurare di non rivelare mai nulla su Eiraeiro. Ognuno di loro dispone di un mitra AK-47 e di un manganello. A circa un chilometro dai cancelli del campo, si trovano le abitazioni dei guardiani di Eiraeiro e un secondo posto di blocco. Da un lato, la prigione è delimitata da una barriera di filo spinato e dall’altra parte (a Nord) da un campo minato. Dopo questo secondo check-point, i prigionieri sono condotti nell’ufficio del direttore del carcere che si trova in un edificio diverso da quello dove sono detenuti i prigionieri. Il primo edificio contiene anche un panetteria, un’infermeria, una farmacia, e una camera da letto riservata agli esponenti politici di Asmara in visita (es. il Presidente Issaias Afeworki.) I prigionieri sono presentati al direttore del carcere, il luogotenente-colonnello Isaac Araia, detto "Wedi Hakim". Tutti i prigionieri, ma anche gli agenti della scorta e i rappresentanti politici e militari in arrivo da Asmara devono lasciare all’ingresso tutti i loro effetti personali, in particolare eventuali fogli di carta e penne. Il direttore verifica l’autenticità dei lascia-passare presentati e degli altri documenti in una stanza sorvegliata da due telecamere. In seguito, consegna ai prigionieri la loro futura "divisa": un pantalone e una camicia blu; due coperte militari e una stuoia. Un gulag africano A piedi scalzi, sotto scorta, non autorizzati a guardare o rivolgere la parola agli altri detenuti e alle guardie, i prigionieri entrano in questo modo nel penitenziario delimitato da un muro di 4 metri di altezza. La prigione è composta da tre « blocchi » : edifici di cemento a forma di E, composti da 64 celle ermeticamente separate da muri spessi. Ad ogni ala di questi «blocchi » corrisponde una lettera e un numero. Le tre ali del blocco dove sono detenuti i prigionieri più «pericolosi » (es.: i giornalisti), vengono denominate : A01, B01 e B03. In ogni ala, una prima fila di celle si affaccia sull’esterno. Le altre si affacciano sulla parte interna dell’edificio. "Questi blocchi di cemento sono stati costruiti in modo che i detenuti non possano mai incrociare, neanche con lo sguardo, gli altri prigionieri", ha spiegato l’informatore a Reporters sans frontières. Le celle sono dei vani senza finestre di tre metri per lato. Le pesanti porte metalliche, tutte numerate, non si aprono neanche quando i carcerieri portano i pasti : questi vengono inseriti nella cella attraverso un’apertura della porta. Il rubinetto dell’acqua delle celle funziona solo con l’autorizzazione del direttore del Campo. Se le guardie vogliono punire un prigioniero che si è «comportato male» (ovvero un prigioniero che ha rivolto uno sguardo o una parola a un altro prigioniero o a un soldato), legano le mani e i piedi del detenuto e lo incatenano ad una barra di ferro presente in ogni cella. Il prigioniero è così costretto a restare legato ed inginocchiato per "almeno 40 ore" secondo quanto ha riferito l’informatore a RSF. Inferno quotidiano Le celle dove i prigionieri vivono, totalmente isolati, sono illuminate 24 ore su 24 dalla luce elettrica. Alcuni sono scalzi e sempre ammanettati. Quando non sono rinchiusi nelle loro celle, i prigionieri sono condotti in una delle tre sale dove si svolgono gli interrogatori. Questi sono spesso condotti da Abdulla Jaber, responsabile della sicurezza del partito al potere, il Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (PFDJ), e da alti responsabili come Yemane Gebremeskel, detto "Monkey", capo del Gabinetto e portavoce del presidente Issaias Afeworki. Durante gli interrogatori, i prigionieri sono torturati. Vengono per esempio colpiti con delle fruste di plastica. Sulle pareti di queste stanze sono dipinte delle frasi. Una di queste dice: "Avete visto quelli che sono morti prima di voi ?" E un’altra: "Se non amate il messaggio, uccidete il messaggero." I prigionieri sono rasati ogni due mesi da un barbiere, scortato da alcune guardie che lo sorvegliano affinché non parli con i detenuti. Ricevono due pasti al giorno, in una scodella di plastica: un brodo con lenticchie, verdure o patate e, per la prima colazione, una tazza di thé e sei pezzetti di pane. Ricevono solo un litro di acqua al giorno. I prigionieri più debilitati possono ricevere una porzione di acqua supplementare, ma solo se prescritta dal medico del penitenziario, il Dottore Haile Mihtsun. Il responsabile del campo fa aprire i rubinetti dell’acqua delle celle per solo venti minuti alla settimana, obbligando i prigionieri a lavarsi e lavare i propri vestiti durante questa breve pausa. Nel 2006 e nel 2007, grazie ai suoi informatori ad Asmara e all’estero, Reporters sans frontières ha scoperto che ben nove prigionieri ad Eiraeiro avevano perso la vita durante la detenzione. Tra loro: Yusuf Mohamed Ali, capo redattore di Tsigenay, che sarebbe morto il 13 giugno 2006, Medhane Haile, vice capo redattore di Keste Debena, che sarebbe morto nel febbraio 2006 e Said Abdulkader, capo redattore di Admas, che sarebbe morto nel marzo 2005. Il poeta e drammaturgo Fessehaye Yohannes, detto "Joshua", co-fondatore del settimanale proibito dalle autorità Setit, sarebbe invece morto l’11 gennaio 2007. Il testimone interrogato nel gennaio 2008 da RSF ha confermato il decesso in carcere di "Joshua", detenuto nella cella n. 18. Inoltre, il testimone ha evocato l’esistenza di un cimitero « dietro l’edificio dove vive il responsabile del campo, dove sarebbero state sepolte almeno sette persone". Raccomandazioni Il carcere "Eiraeiro" è una vergogna per l’Eritrea e per l’Africa. Con l’avvicinarsi del vertice dell’Unione africana (UA), i capi di Stato del continente africano non dovrebbero più ignorare la spaventosa crudeltà del governo eritreo e la violenza che esercita nei confronti di tutti coloro che considera potenzialmente pericolosi al mantenimento del suo potere. Alla luce di queste informazioni, Reporters sans frontières raccomanda: Ai capi di Stato dell'UA e alle grandi democrazie di convocare l’Ambasciatore eritreo nelle loro rispettive capitali per esprimere il loro disgusto per il trattamento disumano riservato ai prigionieri politici, e per chiedere la loro liberazione. I governi dell'UA e degli altri Stati democratici dovrebbero inoltre chiedere la fine del racket organizzato dalle ambasciate eritree per finanziare il governo di Asmara. La diaspora eritrea all’estero è in effetti costretta a versare almeno il 2% dei loro redditi all’Ambasciata eritrea del Paese dove si trovano. Se non lo facessero non sarebbero più autorizzati a tornare in Patria, a conservarvi eventuali proprietà o inviare beni ai propri familiari. All'Unione Europea (UE) di comminare sanzioni individuali contro i principali responsabili della repressione attuata nelle carceri eritree. Il visto di ingresso per i Paesi-membri dell’UE non dovrebbe, per esempio, mai essere concesso alle persone seguenti: Yemane Gebremeskel, capo di Gabinetto e portavoce del Presidente (che spesso si è recato a Eraeiro e nelle altre prigioni segrete del Paese); Yemane Gebreab, consigliere speciale del Presidente ; il generale Sebhat Ephrem, ministro della Difesa ; Isaac Araia, detto "Wedi Hakim", responsabile amministrativo di Eraeiro; Naizghi Kiflu, ministro del Governo locale e dell’Informazione, responsabile dell’ondata di arresti di 2001 ; Ali Abdu, ministro dell'Informazione ad interim, responsabile della propaganda; il dottore Haile Mihtsun, medico di Eraeiro ; il colonnello Michael Hans, detto "Wedi Hans", comandante della 32esima divisione, responsabile della zona ; il colonnello "Wedi Welela", capo dei servizi di informazione della Zona amministrativa numero 5; il Maggior Generale Gerezghiher Andemariam, detto "Wuchu", ex amministratore del campo. Per ulteriori informazioni : 47 rue Vivienne - 75002 Paris – Tel : 33 1 44 83 84 76 – Fax : 33 1 45 23 11 51 afrique@rsf.org

venerdì 25 gennaio 2008

Hotel Africa - Uscita Romanina G.R.A Roma est

A cura di Marzia Coronati • 24 Gennaio 2008 Tor Vergata è la seconda università di Roma, un piccolo mondo a se stante all’altezza dell’uscita Romanina, sul raccordo anulare. Una giungla di vetro e cemento, c’è l’Ikea, l’università e qualche ufficio. In uno dei palazzoni dell’università, alto sette piani, imponente in lungo e in largo, vivono da due anni centinaia di persone. Ospiti della puntata:Emanuele, Michele, Lucia, abitanti del palazzo alla Romanina Mussie Zerai, ass. Habesha Non è quantificabile il numero esatto, saranno 600, forse 700. Dentro alle aule contrassegnate da etichette di alluminio con su scritto letteratura italiana, storia medievale, storia contemporanea, gli abitanti dell’ex palazzo dell’università si sono inventati la propria casa. Ai primi piani gli ultimi arrivati, sistemati alla bella e meglio su letti di fortuna, venti trenta per ogni aula, agli ultimi piani chi è arrivato da più tempo, e che ha avuto modo di costruirsi dei mini appartamenti. Sono tutti africani, e tutti rifugiati politici. vengono dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Somalia, dal Sudan. ognuno di loro ha una storia diversa alle spalle, ma una parte del loro percorso di vita li accomuna: è l’arrivo in Italia e l’accoglienza italiana. Quasi tutti sono arrivati con una barca, hanno attraversato il mediterraneo e sono sbarcati in Sicilia, qui dopo una permanenza di qualche settimana nei centri di permanenza siciliani si sono spostati a Roma. Molti di loro, appena arrivati, sono venuti a vivere qui, in questo ex istituto universitario del municipio X di Roma . Mussie Zerai, dell’associazione Habesha, ci ha raccontato come è iniziata la storia di questo palazzo. Circa un mese fa al secondo piano è scoppiato un incendio. Un incidente. I vigili del fuoco sono arrivati dopo cinque ore, quando le fiamme erano gia state spente. Fortunatamente, nessuno è rimasto ferito. Il Comune ha colto la palla al balzo: “non c’è sicurezza là dentro, meglio staccare la corrente elettrica”. Così oggi si vive senza luce. c’è solo l’impianto di emergenza, a cui tutti tirano con prolunghe chilometriche, ovviamente la corrente è insufficiente, e anche l’impianto di emergenza salta ogni minuto. E’ una prassi ormai consolidata questa del comune, quando dal Gabinetto si decide di porre fine a una occupazione, si cominciano a uno a uno a staccare i servizi di base. Prima l’ acqua calda, poi la luce, poi l’acqua corrente. Parliamo con Emanuele, Sofia, Michele, Lucia, si presentano con nomi italiani e in effetti parte di loro ha sangue italiano che gli scorre nelle vene. Sono etiopi e eritrei, paesi che per decenni sono stati colonie d’ Italia, e hanno padri, madri, nonni italiani. Quando vivevano nella loro patria andavano al cinema Roma, mangiavano spaghetti nei ristoranti, hanno imparato da artigiani nostrani l’arte del cesellare, della muratura e della falegnameria. La storia è strana, ora loro sono in Italia e vivono una vita non vita, sono rifugiati politici ma lo stato italiano non gli rilascia i documenti, perciò non riescono a trovare lavoro, e non riescono a trovare neanche una casa. Loro dicono di fare una vita peggio di quella dei cani. Sembra tutta una grande trappola. Una volta arrivati in Italia, lo Stato ha registrato le loro impronte digitali. In base agli accordi di Dublino II, una persona registrata in un paese europeo non può spostarsi in un altro paese. Chi ci prova, viene immediatamente respinta nella nazione in cui sono state registrate le impronte. Clicca qui per ascoltare "Hotel Africa - Uscita Romanina G.R.A. Roma Est" [30:04m]: Play Now | Play in Popup | Download Tags:africa, impronte digitali, municipio X, rifiugiati politici, Romanina

giovedì 24 gennaio 2008

Attese Deluse dal Governo Prodi

Con la vittoria del centro sinistra, speravamo nel cambiamento promesso solennemente nella campagna elettorale. Ci aspettavamo una discontinuità nella politica estera, in particolar modo nei rapporti tra l’Italia e i Paesi del corno d’Africa e sulla cooperazione internazionale. Il tema dei diritti civili e umani in Italia e fuori dei confini, con la esternalizzazione dei confini europei verso i paesi del mediteranno che ha prodotto più di 60,000 detenuti nella sola Libia, grazie anche a degli accordi bilaterali firmati anche da questo governo, senza tener conto delle violazioni dei diritti umani e civili perpetrati dai Paesi in questione, per altro denunciati a più riprese da organismi internazionali come Amnesty, UNHCR e altre organizzazioni come Fortress Europe e Agenzia Habeshia Oggi ci chiediamo che fine abbiano fatto i tanti buoni propositi sull’eliminazione della legge Bossi-Fini e la nascita di una nuova legge più giusta e rispettosa della persona?. Sulla questione cittadinanza dei bambini nati nel territorio dello Stato Italiano da genitori stranieri, considerati stranieri fino al compimento del 18° anno d’età, si era detto di fare una modifica dell’attuale “ius sanguinis' allo 'ius solis”. Riconoscimento di cittadinanza a stranieri regolarmente residenti in Italia: oggi sono richiesti 10 anni di residenza, un reddito al di sopra della soglia minima e cinque anni di contributi versati al fondo pensionistico. Si era parlato di ridurre gli anni di residenza da 10 a 6. Ci aspettavamo una legge organica sul diritto d’asilo politico: sappiamo che ci sono varie proposte di legge, ma tutte arenate in Parlamento. La riforma costituzionale che permetta il diritto di voto agli immigrati regolari. La questione sociale che riguarda sia gli italiani sia gli stranieri: dalla precarietà all’emergenza abitativa, dalla sicurezza, di cui spesso sono vittime le comunità di stranieri per l’uso strumentale dell’argomento sicurezza, ad una serie di discriminazioni, dalla burocrazia soffocante dei permessi di soggiorno con i tempi d’attesa biblici, ad una giustizia iniqua, data dalla mancanza di pari opportunità. Una riforma carceraria: oggi il carcere è un luogo di vendetta dello stato non un luogo di recupero di chi ha commesso un reato. Sia i detenuti che il personale sono sottoposti ad una condizione di vita infernale; a testimonianza di ciò ci sono i suicidi non solo verificatesi tra i detenuti, ma anche tra la polizia penitenziaria. Quelli appena esposti sono alcuni punti su cui avevamo riposto la nostra fiducia su questo esecutivo, oggi siamo delusi dal mancato atto di civiltà giuridica che ci aspettavamo da questo parlamento. Oggi viviamo in una Italia resa insicura dalla precarietà del lavoro e la povertà che aumenta grazie all’intervento di molti pronti a fare dello sciacallaggio politico, alimentando così la guerra tra i poveri e fomentando sempre più l’intolleranza verso lo straniero.

venerdì 18 gennaio 2008

Laicità dello Stato o Censura Laicista?

Laicità dello Stato o Laicismo? A quanto pare in Italia nessuno ha chiaro il senso della laicità dello Stato e delle sue istituzioni. Lo dimostra quello che sta accadendo all’Università La Sapienza. Chi rivendicando la laicità dell’Università di fatto ha impedito la partecipazione del Papa all’inaugurazione dell’anno accademico, limitando la libertà dell’Ateneo di invitare un’autorità religiosa (nonché un uomo di cultura) come Benedetto XVI, limitando la libertà di tanti studenti universitari che lo avrebbero ascoltato volentieri al di là del loro credo religioso, e negando al Pontefice la libertà di esprimersi davanti a migliaia di studenti, non ha forse dato vita ad una censura laicista? La laicità è stata usata per limitare la libertà delle persone di esprimere le proprie convinzioni in quello che dovrebbe essere un luogo democratico, aperto al dialogo e al confronto: l’Università. Da ieri l’Italia è meno libera non per colpa dei contestatori, ma a causa dell’assenza totale di uno Stato incapace di garantire il diritto affermato nella propria Costituzione e ribadito nelle prorpie leggi. Francamente sono esterrefatto di come sia stata gestita questa vicenda. L’intervento tardivo delle autorità cittadine, iniziando dal primo cittadino assente dalla scena territoriale, (per non essere maliziosi… visto che il Papa ha fatto notare il degrado della città di Roma si temeva forse un'altra bacchettata caro On. Veltroni?) per arrivare al silenzio dei ministri, terminato solo di fronte alla di rinuncia del Papa, dimostra la confusione che regna in questo Paese sul senso laico di confronto, dialogo con altre istituzioni come la Chiesa. Ormai è di moda pretendere il silenzio dai cattolici, succede in tanti Paesi, dalla Cina fino all’Eritrea. Oggi apprendiamo con grande preoccupazione che anche in Italia c’è questa tendenza. Da tempo assistiamo al dilagare di forme d’intolleranza, di discriminazioni razziali e perfino sociali. Questo episodio increscioso dell’Università La Sapienza, che è frutto di una lunga campagna mediatica e politica, ha seminato odio in particolare nei confronti di cattolici che prendono posizione secondo la loro coscienza. Il Papa è colpevole solo di svolgere bene il proprio ministero pastorale, richiamando i fedeli alle loro responsabilità di credenti, in un Paese che ha smarrito il senso del dovere, dell’etica e della morale. Napoli e l’intera Regione Campana, in queste settimane, testimoniano il fallimento di una gestione politica barcollante da più di 40 anni. Forse tanti hanno dimenticato (o non sanno) che il Papa è il Vescovo di Roma. Quindi la visita all’Università su invito del Rettore di uno degli Atenei di Roma, rientrerebbe nelle sue attività pastorali (tra l’altro si parla di un’università fondata da un altro Papa). Quello che preoccupa me, che mi occupo dei richiedenti asilo politico e dei rifugiati politici, è cosa succederà nei prossimi anni in questo Paese; “se trattano così il legno verde, cosa sarà del legno secco”: se questa è l’Italia democratica e laica che impedisce di parlare ad un’autorità religiosa nel suo territorio, cosa farà con noi che veniamo a chiedere asilo a questo Paese perché qualche altro dittatore ha impedito la nostra libertà di espressione. L’Art. 3, Art.10, Art. 17, Art. 21 della Costituzione Italiana parlano chiaro, ma quello che è successo a La Sapienza di Roma è a nostro avviso, gravissimo. In parte lo sappiamo quello che ci attende, visto che il Governo di centro sinistra non ha esitato a firmare un accordo con la Libia, senza tener conto delle tante denunce fatte da noi dell’Agenzia Habeshia e da tante altre organizzazioni come Amnesty, UNHCR, Fortress Europe sulle condizioni di vita nei carceri libici di tanti richiedenti asilo politico. Quando a firmare fu l’ex ministro Pisanu si alzò un gran polverone, ma questa volta non abbiamo sentito nulla tranne una voce quella della On Tana de Zulueta, che ringraziamo. Tornando alla mancata visita del Pontefice all’Università La Sapienza, qualcuno lo ha definito come momento storico, spartiacque nei rapporti tra cattolici e laici, tra Chiesa e Stato, e qualcun altro ha cantato vittoria. Sì è stata la vittoria dell’intolleranza che da tempo dilaga in questo Pese. Una ferita grave alla democrazia e alla libertà di espressione garantita dalla Costituzione della quale si celebra il 60° anniversario proprio quest’anno. Chi pensa di ottenere la cacciata dei cattolici dalle istituzioni statali come se i cattolici non avessero il diritto di cittadinanza in questo Paese, si sbaglia di grosso, finisce per alimentare inutili contrapposizioni dannose per il Paese. Dove sono finiti i moderati di questa società? Perché prevale sempre di più l’estremismo di ambedue le parti? Perché in questo Paese è così difficile dialogare e confrontarsi civilmente? Si finisce per dare un pessimo esempio ai giovani: è giusto scontrarsi e trattare come un nemico chi non la pensa come te. Non dobbiamo lamentarci se dilaga il bullismo tra i ragazzi, l’incapacità di dialogo tra partiti politici e all’interno delle famiglie: chi semina discordia non può che raccogliere divisioni e contrapposizione. Data. 15.01.2008 Mussie Zerai

mercoledì 16 gennaio 2008

Il Papa rinuncia alla visita La Sapienza

CITTA' DEL VATICANO, 16 GEN. 2008 (VIS). Un Comunicato rilasciato nel pomeriggio di ieri dalla Sala Stampa della Santa Sede, precisa che il Santo Padre non interverrà come invece era previsto, domani giovedì 17 gennaio, all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma. "A seguito delle ben note vicende di questi giorni in rapporto alla visita del Santo Padre all'Università degli Studi 'La Sapienza' di Roma, che su invito del Rettore Magnifico avrebbe dovuto verificarsi giovedì 17 gennaio, si è ritenuto opportuno soprassedere all'evento. Il Santo Padre invierà, tuttavia, il previsto intervento". I fatti a cui fa riferimento il Comunicato sono la lettera indirizzata al Magnifico Rettore, firmata da 67 professori che chiedono la revoca dell'invito rivolto a Benedetto XVI e le proteste di gruppi di studenti che già da ieri hanno occupato il Rettorato dell'Università reclamando il diritto di manifestare contro la visita del Papa. I professori rimproverano al Pontefice una frase di un discorso pronunciato nel 1990, che aveva per tema la crisi di fiducia nella scienza in se stessa e ne dava come esempio il mutare di atteggiamento sul caso di Galileo e la frase del filosofo della scienza Paul Feyerabend "All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto", citata nel medesimo discorso dell'allora Cardinale Joseph Ratzinger.

sabato 12 gennaio 2008

60° Anniverssario della Costituzione

60° anniversario della costituzione della repubblica italiana L’anniversario della costituzione per noi e un occasione di riflessione sui diritti e doveri dei cittadini. Quando parliamo di cittadini non si tratta solo di italiani ma tutti cittadini legalmente presenti nel territorio nazionale. Perché oggi assistiamo episodi che fanno sembrare che la costituzione vale solo per i cittadini italiani, invece i principi e valori contenuti nella costituzione italiana e garanzia per tutti cittadini che vivono nel territorio nazionale. Oggi in Italia ce una disuguaglianza spaventosa tra stranieri regolarmente presenti nel territorio nazionale con i cittadini italiani. Basta esaminare alcune articoli della costituzione che non sono applicata nei confronti di stranieri regolari. "Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese." Ma i cittadini stranieri regolari in Italia non hanno gli stessi diritti ma gli stessi doveri, e subiscono in continuazione discriminazione di ogni sorte. Non hanno il diritto di voto, quindi non partecipano alla vita politica di questo paese. L’art.3 parla di rimuovere gli ostacoli, ma il primo ostacolo per gli stranieri oggi e la burocrazia e lungaggine di tempi di attesa per un semplice rinovo di permessi di soggiorno che va da 6 mesi minimo ad un anno e più. Questa situazione paralizza la vita dello straniero sotto tutti i profili economico, sociale, diventa un limite alla liberta della persona. "Art. 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società." Per gli stranieri e un sogno che rimane tale. Dato che ci sono leggi dello stato che gli impediscono ad accedere all’impiego pubblico, ai concorsi statali. "Art.10 L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici." Da decenni che attendiamo una legge organica sul diritto d’asilo che in Italia manca con conseguenze evidenti sotto gli occhi di tutti. Un sistema di accoglienza che non funziona migliaia di rifugiati abbandonati a se stessi, disperazione che hanno portato ad alcuni a togliersi la vita come due cittadini eritrei a Milano. "Art.13 La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva." Oggi in Italia abbiamo i C.P.T con il loro carico di drammi e succidi come quello di Modena anche altrove. Persone trattenute per mesi perché sono richiedenti asilo politico, perché gente che cerca una vita migliore di quella che hanno lascito nel paese di origine. "Art.16 Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge." Oggi assistiamo nel nord est dei sindaci che mettono vincoli di reddito per concedere la residenza ai stranieri, discriminando chi e povero e straniero. "Art.17 I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Art. 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni." Un cittadino straniero non può chiedere autorizzazione alla questura per una manifestazione. Perché la richiesta deve essere presentata da un cittadino italiano. Una discriminazione. "Art.31 La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo." Alle famiglie di stranieri regolari e negato il bonus per bambini nati nel 2005. qualche sindaco nel nord chiede alle famiglie stranieri di rinunciare ai sussidi per i figli, le scuole materne ci chiediamo la legge uguale per tutti o no? "Art.34 La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso." I figli di stranieri regolari non godono di borse di studio, previsti da questo articolo.

sabato 5 gennaio 2008

Condizioni di vita di rifugiati

Da Lampedusa ai ghetti della periferia di Roma Reportage dall'ex sede dell'Università Tor Vergata, a Roma, occupata da 250 rifugiati del Corno d’Africa. Vivono al buio, senza corrente né riscaldamento. Tra loro almeno 30 bambini, la più piccola, Rahima, ha otto mesi e in Italia è arrivata imbarcandosi da Zuwarah con la madre, questa estate. Il Comune ha dichiarato l'occupazione abusiva. E adesso, rischiano tutti lo sgombero ROMA, 3 gennaio 2008 - Che fine fanno i rifugiati dopo Lampedusa? Alcuni vengono accolti dai servizi dello Sprar, ma gli altri finiscono nelle periferie delle nostre città, in palazzi occupati o per strada. Redattore Sociale ha visitato l'ex sede dell"Università Tor Vergata, a Roma, occupata da 250 rifugiati del Corno d’Africa. Sotto sgombero da luglio, il 26 novembre un incendio ha devastato una delle abitazioni. Da allora vivono al buio, senza corrente né riscaldamento. Tra loro ci sono almeno 30 bambini. La più piccola, Rahima, ha otto mesi ed è arrivata a Lampedusa a Settembre. È nata durante il viaggio della madre, fuggita dai ranghi dell’esercito eritreo e scappata prima in Sudan e da lì, attraverso il deserto in Libia. A soli cinque mesi ha attraversato il Canale di Sicilia. Oggi gioca con un orsetto di peluche in una camera tappezzata di tricolori eritrei, crocifissi, madonne e santini. L’unica finestra si affaccia al quarto piano del palazzo di via Cavaglieri 6/8, a Roma. Siamo a due passi dall’Autostrada del Grande Raccordo Anulare. Periferia est di Roma. Il sole si specchia sui sette piani di vetri neri e parabole di quella che fino a pochi anni fa era una sede dell’Università Tor Vergata. Lo stabile venne occupato nel dicembre del 2005, con il supporto di Action. Dopo un primo sgombero, la trattativa del Comune di Roma con la proprietà, Enasarco (Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio) portò alla firma di un contratto di locazione il 28 febbraio 2006. Il Comune ha pagato l’affitto fino al 30 giugno 2007. Il tempo necessario per trovare tre strutture nel V e VIII municipio per accogliere i 360 residenti censiti in un primo momento.. Una per i nuclei familiari in mini appartamenti. E due per i singoli, la maggioranza, in stanze con massimo 4 letti, uso cucina e servizi in comune, sotto gestione di una cooperativa sociale. Era il 9 luglio 2007 e i rifugiati di Romanina dissero no. Musé, eritreo, oggi ci è tornato a spiegare perché: "I rifugiati hanno diritto ad un minimo di assistenza, il Comune non può offrirci soluzioni di 4 o 6 mesi, oppure dormitori con stanze con i letti a castello, orari di ingresso e di uscita. La gente è stanca. O l’Italia riceve i rifugiati e li accoglie oppure non dovrebbe riceverli”. Molti sarebbero grati all’Italia se le autorità cancellassero le loro impronte digitali dagli archivi elettronici di Eurodac, il sistema informatico che identifica la prima frontiera dove il richiedente asilo è entrato nell’Unione europea. Un marchio indelebile, che grazie alla Convenzione di Dublino, affida al primo Paese di ingresso la presa in carico della richiesta d’asilo. Lo sanno bene alcuni dei rifugiati rispediti in Italia da Londra o da Stoccolma, in base alla predetta Convenzione. Alcuni di loro sono ospitati al primo piano del palazzo. Uno stanzone dove sono ammucchiati materassi e coperte e che funziona da foresteria per chi è appena arrivato a Roma, o per amici e parenti che si fermano nella capitale per brevi periodi. Al piano terra non potrebbero stare. I pavimenti sono completamente allagati. Piove acqua dai tubi rotti del soffitto. I fogli di intonaco si sono accartocciati sui muri a causa delle infiltrazioni. Eppure bagnandosi i piedi nei cinque centimetri d’acqua che allagano i corridoi, si entra nelle stanze di alcune famiglie che nonostante tutto continuano a vivere qui. In una camera ci sono biciclette e giocattoli. E sul tavolo accanto la cera di decine di candele attaccata a un vassoio di legno sul comodino. Perché dopo le cinque del pomeriggio e fino al mattino, fa buio. E fa freddo. La corrente elettrica l’hanno staccata dopo l’incendio del 26 novembre scorso. Manuel ci accompagna su per le scale e ci fa luce con il cellulare nei corridoi bui che attraversiamo. Della sua camera rimane ben poco. Le finestre si sono carbonizzate e crollate. Il rivestimento in plastica del tetto si è fuso. Il materasso è bruciato insieme a tutto l’arredamento, i vestiti, i ricordi. A causare l’incendio è stato un cortocircuito elettrico. Per immaginare l’origine del guasto basta guardare l’acqua che corre sul soffitto gocciolando dai cavi elettrici scoperti. La coppia che vive nella stanza accanto ha dovuto riverniciare le pareti impregnate dell’odore della plastica bruciata. La signora è incinta, chiede di restare nell’anonimato. Ci mostra un fornellino a carbone e un’altro a gas. Li usa per cucinare e per riscaldare l’acqua. Gli scaldabagni sono fuori uso. Ci si lava in camera, con i catini. Cercare casa a Roma è un’impresa. "Con i prezzi che ci sono - dice Musé - e poi quando sentono dalla voce che sei straniero ti dicono che non affittano più..”. In un angolo della stanza c’è una vecchia stufa elettrica. Da quando non c’è più la corrente è inutile. Intanto l’inverno prosegue. Al quarto piano, nella stanza vicino a quella della piccola Rahima, una bambina di un anno e tre mesi è a letto. Ha la febbre, oggi non è andata a scuola. Il padre sbuffa, quando gli chiediamo perché si è ammalata. I bambini sono almeno trenta, ci dice Omar. Vanno tutti a scuola, ma quando ritornano piangono per il freddo e per il buio. Musé, poco dopo, ci dice: “Credevamo che in Europa i diritti fondamentali fossero quelli dei bambini. Ma non è così. Qua ci sono neonati, e vivono come cani”. Sono fuggiti dall’Eritrea, dalla Somalia, dal Darfur, dall’Etiopia. Hanno lasciato alle spalle la guerra, attraversato il deserto e il mare. Il loro viaggio è finito, ma non sono ancora arrivati nella terra che speravano. Sono quasi tutti rifugiati politici o umanitari. Dopo essere sbarcati a Lampedusa sono stati trasferiti nei centri d’identificazione siciliani e calabresi, e una volta usciti da lì, senza nessun riferimento, sono saliti sul primo treno per Roma. Un fatiscente stabile occupato è l’accoglienza che l’Italia offre loro. Anche se va detto che un circuito di accoglienza esiste, e funziona bene, tanto da essere stato recentemente presentato dall’Unione europea come modello positivo. Lo Spraru (Sistema di protezione richiedenti asilo, rifugiati e umanitari) ha accolto 13.000 rifugiati dal 2001. Nel 2005, le nazionalità più accolte erano quelle del Corno d’Africa: Eritrea (20,5% del totale), Somalia (8,8%), Etiopia (8,3%), Sudan (5,4%). I posti letto disponibili nel 2006 sono stati 2.428 e hanno accolto 5.347 persone in 55 province italiane. Roma ha accolto 1.135 persone solo nel 2006. Numeri importanti, ma da cui molti rimangono esclusi, rispetto alle 9.260 richieste d’asilo esaminate dalla sette Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato nel 2006, il 60% delle quali era stato presentato da uomini e donne sbarcati lungo le coste siciliane. Il sistema di accoglienza non regge, in un Paese, l’Italia, dove nel 2006 le domande d’asilo sono diminuite del 3%, a fronte di una diminuzione del 46% nei Paesi Ue (Le foto sono di Rachele Masci e di Eleonora Camilli; l'immagine del deserto è tratta da "A sud di Lampedusa") posted by gabriele del grande at 7:19 PM