domenica 14 dicembre 2008

I settemila chilometri di Abuna Messias

Aperte le celebrazioni per il bicentenario della nascita di Guglielmo Massaja Il convegno "Guglielmo Massaja 1809-1909, all'Africa attraverso l'Africa", organizzato dalla Società geografica italiana, ha aperto a Roma le celebrazioni per il bicentenario della nascita del missionario cappuccino. Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento di uno dei relatori. di Mauro Forno Il nome di Massaja si lega oggi soprattutto all'esperienza da lui vissuta per quasi trentacinque anni nelle terre del vicariato apostolico dei Galla, nella parte sud-occidentale del grande altopiano etiopico. Fu una delle vicende di maggior rilievo e durata vissute da un missionario cattolico in terra africana. E fu anche un'esperienza umana pastorale dai caratteri sorprendenti, segnata come fu da non meno di otto traversate del Mar Mediterraneo, da dodici del Mar Rosso, da oltre settemila chilometri percorsi a piedi o sul dorso di animali, in luoghi in cui i missionari erano generalmente uccisi dal clima e abitudini di vita quasi insostenibili per un occidentale. Nel corso dei decenni la sua figura ha tuttavia incarnato anche altri significati, non sempre legati all'azione da lui effettivamente svolta sul campo, mentre ancora quando Massaja era in vita diverse ragioni contribuirono a farne un personaggio quasi leggendario tra l'opinione pubblica del suo tempo. Tra queste ultime, si potrebbero ricordare l'ascendente esercitato dalla sua figura affascinante e severa, la sua avventurosa esistenza, che lo condusse in diverse occasioni a un passo dalla morte e il suggestivo appellativo, Abuna messias, con cui fu ben presto identificato in Africa e in Europa. Altre ragioni si legarono invece a circostanze esterne alla sfera individuale, tra queste la straordinaria attrattiva esercitata, proprio negli anni in cui Massaja fu missionario, dalle grandi esplorazioni in terre esotiche e in Africa in particolare: una vera e propria febbre che si diffuse tra l'opinione pubblica europea, con in prima linea gli ordini religiosi più impegnati nel campo missionario. La vicenda massajana vide per giunta il suo dispiegarsi nel periodo in cui nuovi spiragli di navigazione attraverso il Nilo e i lavori per la costruzione del canale di Suez iniziarono a stuzzicare gli appetiti delle potenze europee verso terre sino ad allora quasi inesplorate. E va osservato che fu Massaja stesso a favorire - indirettamente - la prima "esplorazione geografica" post-risorgimentale dell'Italia in terra africana. Non fu dunque un caso se il 17 dicembre 1889, nel presentare al Parlamento italiano le carte diplomatiche per giustificare il suo interessamento all'Etiopia, Francesco Crispi attinse a piene mani dal carteggio massajano e fece riprodurre, proprio come primo dei documenti, una lettera indirizzata nel gennaio 1857 a Massaja dal direttore capo per i consolati e il commercio del ministero degli Esteri del regno di Sardegna, Cristoforo Negri, che sarebbe poi diventato presidente della Società geografica italiana. Alcuni studiosi, soprattutto in passato, hanno scorto proprio in questo specifico documento le radici di un interesse italiano per l'Africa orientale e per l'Etiopia in particolare. Sul piano ecclesiale, fu principalmente Papa Leone xiii a cogliere in Massaja una figura degna di attenzione, oltre che un'icona del mondo missionario, promuovendolo prima arcivescovo e poi cardinale, come segnale tangibile di approvazione del suo approccio all'evangelizzazione. Fu quello l'inizio di una stagione della memoria lunga e fortunata per Massaja, la cui fama, rafforzandosi negli anni a cavallo tra i due secoli, conobbe un deciso balzo soprattutto durante il ventennio fascista, ancora una volta in gran parte per ragioni di tipo politico. Gli assertori della vocazione "imperiale" del Paese, ponendosi nella prospettiva evocata da Crispi e forzando strumentalmente i documenti massajani, individuarono proprio in lui la figura dell'anticipatore, per non dire del propugnatore, dell'espansionismo coloniale italiano in Africa. Per giustificare le proprie tesi, questi ardenti celebratori del mito dell'Italia coloniale si riallacciarono questa volta a una diversa vicenda diplomatica che vide protagonista Massaja: l'appoggio fornito nel giugno 1872 - su pressioni esercitate dal futuro negus, Menelik ii - a un'ambasceria destinata a re Vittorio Emanuele ii, primo contatto "ufficiale" e "di vertice" tra un regno dell'Africa orientale e lo stato italiano. La conferma del notevole interesse sollevato nel corso degli anni dalle vicende massajane si ricava oggi dal numero di analisi a esse dedicate da giornalisti, esploratori, uomini di chiesa, politici, studiosi. Secondo un censimento compiuto nel 1967, la bibliografia massajana contava a quella data oltre 2.150 titoli. E va detto che nel computo generale non furono inseriti gli interventi di carattere giornalistico, i discorsi pubblici e altri importanti tipologie di testimonianze, come ad esempio quelle cinematografiche. Un discorso completamente diverso va tuttavia fatto se si guarda al livello scientifico di queste pubblicazioni. La gran parte di esse appare infatti quasi esclusivamente tesa a privilegiare gli aspetti fascinosi ed eroici della figura del missionario cappuccino, risultando viziata da un'inclinazione all'agiografia, da una sostanziale reticenza sugli aspetti spinosi della sua azione missionaria, da una certa approssimazione persino nella trascrizione dei documenti. Quest'ultimo limite non ha risparmiato nemmeno l'opera autobiografica di Massaja. I dodici volumi delle sue monumentali memorie, pubblicati in parte postumi tra il 1885 e il 1895 con il titolo I miei trentacinque anni di missione nell'alta Etiopia, presentano infatti differenze abbastanza vistose rispetto al manoscritto vergato dal cardinale cappuccino per desiderio di Leone xiii e recentemente riportato alla luce da padre Antonino Rosso (studioso a cui si deve anche la pubblicazione della raccolta documentaria di maggiore rigore e interesse su Massaja). Accostarsi oggi con un approccio scientifico all'esperienza massajana non è certo un'impresa di poco conto, soprattutto se si considera che il cardinale cappuccino fu missionario in Africa nel bel mezzo del fenomeno di accaparramento di territori avviato dalle potenze europee durante l'ultimo quarto dell'Ottocento. Particolarmente importante per la sua vita missionaria fu il periodo compreso tra il 1846, anno di fondazione del vicariato apostolico dei Galla, di cui egli fu nominato da Gregorio XVI primo vicario apostolico, e il 1880, anno in cui fu sottoscritta la rinuncia definitiva al vicariato stesso. All'interno di questo arco temporale, soprattutto il primo decennio missionario, trascorso nei territori degli oromo del sud-ovest dell'Etiopia, fu quanto mai intenso e anche particolarmente difficoltoso, a causa di condizioni ambientali precarie e di una quasi totale assenza di contatti con l'Europa e con le gerarchie ecclesiastiche romane. Dal punto di vista politico, piuttosto interessanti appaiono invece, per gli studiosi di oggi, le iniziative da lui avviate nella seconda metà del secolo presso i governi europei e le strategie da lui messe in atto nei rapporti con le varie presenze religiose in Africa orientale, soprattutto con quella musulmana e con i ministri della Chiesa cristiana ortodossa. Chiamato forse oltre le sue intenzioni - e gli strumenti culturali e politici di cui poteva disporre - a rappresentare uno dei bracci religiosi e diplomatici dell'azione missionaria pontificia in Africa, Massaja divenne da quel momento anche un punto di riferimento per le strategie francesi, inglesi e italiane nell'area del mar Rosso. La missione di Massaja in Etiopia ebbe di fatto termine il 3 ottobre 1879, vale a dire l'anno precedente quello della rinuncia ufficiale al vicariato, quando il missionario cappuccino fu espulso dai territori dell'impero per ordine dell'imperatore Johannes iv, insospettito dal ruolo - non ufficiale - di consigliere per gli affari politici e diplomatici, da lui svolto presso la corte del re Menelik ii, sovrano concorrente di Johannes per l'ascesa al ruolo di imperatore. Massaja si spense a San Giorgio Cremano il 6 agosto 1889 e nel 1914 fu avviato l'iter della causa di beatificazione, poi improvvisamente sospeso da Benedetto xv nel gennaio 1916, senza addurre alcuna motivazione scritta. Fu riavviato solo in tempi relativamente recenti, il 22 maggio 1993, quando il prefetto della congregazione delle Cause dei Santi rese pubblica una specifica determinazione in tale senso espressa da Giovanni Paolo ii. Forse proprio il nuovo impulso impresso dal riavvio della causa di beatificazione ha contribuito a produrre un tangibile ritorno di interesse per la figura di Guglielmo Massaja. (©L'Osservatore Romano - 13 dicembre 2008)

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