venerdì 24 aprile 2009

Un’altra notte ai giardini pubblici E ora i rifugiati rischiano la denuncia

I profughi sono stati schedati. Trovata una soluzione solo per i prossimi 15 giorni MILANO 24/04/2009 - Giornali stesi per terra a fare da lenzuola, pagnotte bianche ormai dure come sassi per colazione, alberi usati come attaccapanni. La “guerra” continua per i rifugiati politici africani arrivati a Milano in cerca di asilo. E i giardini di via Palestro, in Porta Venezia, sono diventati il surrogato delle loro case. C’è voluta molta pazienza e un po’ di forza, ieri, per convincere un centinaio di loro a farsi trasportare nella caserma Masarin, nel nord della città per essere identificati. In molti, infatti, dopo lo sgombero dell’ex residence di Bruzzano dove avevano trovato riparo, avevano trascorso la notte all’addiaccio. Un funzionario dell’ufficio dell’Onu per i rifugiati, Riccardo Clerici, ha convinto il gruppo - nel frattempo cresciuto fino a un centinaio persone - a salire sui pullman e furgoni della polizia. Gli immigrati, tra cui diverse donne e un neonato in una carrozzina, hanno quindi lasciato il parco milanese. In tutt, in caserma, sono state censite 90 persone. «Come animali» «Ci vogliono schedare come animali. Ci vogliono prendere le impronte. Ma noi i documenti li abbiamo», hanno protestato ieri i profughi. Il timore, che potrebbe concretizzarsi a breve, infatti, è che alcuni di loro che hanno partecipato ai disordini di martedì scorso a Bruzzano (gli immigrati hanno bloccato i binari) possano essere denunciati per interruzione di pubblico servizio e per resistenza a pubblico ufficiale. La Digos della Questura di Milano sta infatti indagando per individuare tra i rifugiati e richiedenti asilo africani, chi ha concretamente partecipato agli scontri. La soluzione La soluzione per i rifugiati politici, però, potrebbe ancora essere lontana. Ieri in serata il Comune avrebbe proposto di accogliere i rifugiati per uno o due mesi in un dormitorio pubblico, che potrebbe essere quello di viale Isonzo. Ma non per più di 15 giorni. Ma è difficile che loro, che già hanno rifiutato nei giorni scorsi l’ingresso negli altri centri di assistenza, accettino la proposta. «Vanno salvaguardati i loro diritti - è intervenuta la Caritas - sono persone scappate dai paesi d'origine, per lo più dall'Eritrea, per salvare sé stessi e le proprie famiglie dalla guerra, dalla violenza e dalle torture». Scritto da: Arianna Giunti - arianna.giunti@cronacaqui.it

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