giovedì 25 febbraio 2010

Predatori di terreni

| di Marina Forti Molti paesi pubblicizzano bellezze naturali e ospitalità per attrarre turisti. L'Etiopia ha lanciato una campagna pubblicitaria di altro tipo: «Terre vaste, fertili, irrigabili, in concessione a basso costo. Abbondanti risorse idriche. Manodopera a buon mercato. Calda ospitalità», dice un poster corredato da foto di campi verdi e mappe di regioni con terre disponibili - il poster era citato dal «Washington post» in una corrispondenza dello scorso novembre. L'appello è rivolto a investitori stranieri interessati a terre agricole. E in verità questi rispondono alla grande: l'Etiopia sta concedendo un contratto dopo l'altro, un boom di concessioni in cui paesi e soprattutto aziende private di paesi relativamente ricchi si aggiudicano grandi estensioni di terre coltivabili. L'offerta attrae: dall'Arabia saudita (che importa quasi tutto il cibo che consuma) all'India. Un po' questione strategica (assicurarsi derrate agricole a prezzi stabili), un po' fiuto per l'affare (i prezzi del cibo sono destinati a salire, è un buon investimento), sta di fatto che la corsa ad accaparrarsi terre agricole è forte. Con notevoli rischi per i paesi che le concedono, però: l'Etiopia è un buon esempio. Stiamo parlando di un paese povero, dove l'80% dei circa 80 milioni di abitanti vive di agricoltura o pastorizia. Le terre sono proprietà dello stato, che fornisce agli agricoltori sementi e fertilizzanti; non circolano macchinari moderni, si coltiva per lo più con buoi e aratro. Non ci sono grandi sistemi di irrigazione, così l'agricoltura dipende dal cielo: se non piove, il raccolto va male e una popolazione già sulla soglia della povertà sprofonda nella fame. E poiché ripetute ondate di siccità hanno devastato nelle ultime stagioni i raccolti in tutta l'Africa orientale, il governo etiopico l'autonno scorso ha fatto appello alle Nazioni unite per aiuti alimentari: almeno 6 milioni di persone dipendono da quegli aiuti per sfamarsi. E però le terre non mancano (solo un quarto dei circa 437 milioni di ettari circa delle terre arabili in etiopia sono coltivate). Investire nell'agricoltura dunque è una necessità. Bisogna vedere però cosa si intende. «La politica del governo per lo sviluppo agricolo si è sempre basata sui piccoli agricoltori. Ma la strategia include anche la possibilità che il settore privato giochi un ruolo supplementare ma vitale», ha dichiarato di recente il presidente Meles Zenawi alla radio «Voice of America». Tradotto: abbiamo una risorsa naturale (la terra) e ne facciamo una leva per attirare investimenti stranieri. Il governo ha destinato 15 milioni di ettari all'agrobusiness. Il quotidiano di Washington, il 23 novembre, diceva che «attratti da concessioni quarantennali esentasse, gli investitori sono in una febbre dello shopping, zigzagano il paese su aeroplanini per scegliere il proprio appezzamento si suolo etiopico». Si prenda l'esempio del gruppo indiano Karuturi Global: nelle sua due grandi aziende agricole, 300mila ettari in totale, i suoi trattori, macchine per movimentare terra, pozzi stanno trasformando il panorama, riferisce Voice of America (22 febbraio). Cita il proprietario, Ram Karuturi: «Nessuno sta facendo tanto come noi per l'Africa», macchinari e investimenti stanno più che raddoppiando le rese e creano lavoro. Già: ma le centinaia di braccianti ricevono circa 70 centesimi di dollaro al giorno, riferiva il Washington Post, molti sono bambini. Le aziende agricole indiane hanno preso un intero fiume per irrigare campi di mais e risaie, mentre i pastori della zona non possono più abbeverare il bestiame e le 400 famiglie sloggiate non ha dove coltivare. Rivoluzione verde o un nuovo colonialismo?

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