venerdì 26 febbraio 2010

Si rifugi chi può

di Giovanni Catanzaro Il 18 novembre del 2007 un gruppo di circa ottanta persone provenienti dal Sudan, dall' Etiopia, dall' Eritrea, dalla Somalia, dal Ciad, dalla Costa d'Avorio e dal Sahara Occidentale occuparono, aiutati dal "Comitato di Solidarietà con profughi e immigrati", una palazzina di tre piani di proprietà del comune di Torino in via Bologna. Queste persone non erano stranieri irregolari o clandestini, ma si trattava di rifugiati o titolari di protezione sussidiaria e umanitaria, quindi a pieno titolo riconosciuti e garantiti dalle norme italiane vigenti e da numerose Convenzioni internazionali. Persone che avevano e hanno il diritto a godere di un minimo di servizi (in materia di accesso al lavoro, educazione, assistenza pubblica e sicurezza sociale, assistenza sanitaria) che ad oggi non vengono erogati o vengono erogati in maniera parziale, seppur siano indispensabili a permettere condizioni di vita dignitose. Questi rifugiati prima di insediarsi in via Bologna avevano vissuto, in condizioni estreme, per diversi mesi in una fabbrica abbandonata ai confini con Settimo Torinese. Dopo via Bologna il 12 ottobre 2008 è stata la volta di Corso Peschiera dove molti più immigrati si sono impadroniti dell' ex clinica S. Paolo, abbandonata da tempo, e degli ex alloggi dei medici della clinica in via Ravello. L'occupazione si è protratta fino all'11 settembre 2009 quando è avvenuto il trasferimento della maggior parte degli occupanti all'ex caserma La Marmora in via Asti, zona Gran Madre e al Centro Fenoglio di Settimo Torinese. Basta anche solo effettuare una rapida ricerca su internet e si noterà come intorno ai Rifugiati siano state molte le associazioni e le persone impegnate. Una galassia ampia composta dall'associazionismo e da alcuni centri sociali, ma anche singoli cittadini che hanno dato il loro contributo spontaneo e volontario. Lo stesso Michele Paolino, presidente della circoscrizione tre che comprende Corso Peschiera, conferma come, a parte qualche malumore di alcuni residenti per il "troppo via vai e qualche schiamazzo di troppo", il rapporto degli abitanti del quartiere con gli occupanti e il rapporto della circoscrizione con il tavolo delle associazioni è stato tutto sommato buono. Un dato innegabile è certamente quello che sottolinea come sia in Corso Peschiera, finche è durata, così come tutt'ora in via Bologna e alla "Casa Bianca" ( così è stata chiamata la parte di alloggi tutt'ora occupati da coloro che non hanno accettato il trasferimento in via Asti), gli immigrati aiutati da alcuni solidali, siano stati in grado di autorganizzarsi e autogestirsi. Un'impresa non certo facile date le condizioni degli stabili e gli scarsi mezzi degli occupanti. Luoghi non solo adibiti a dormitori ma in cui si sono creati spazi di socialità e di incontro sia tra immigrati che tra quest'ultimi e gli italiani. Sono stati organizzati corsi di italiano per stranieri, alcuni di loro sono stati seguiti nel iter per l'iscrizione all'università, ad altri è stata fornita assistenza di vario genere nel tentativo di migliorare la loro condizione. Ai primi bisogni essenziali,come cibo e vestiario, si è passati poi a richieste più articolale che sottendevano tutta una serie di diritti, come l'assistenza sanitaria, la casa, il lavoro, che venivano elusi. Se la prima fase, contraddistinta da una collaborazione fruttuosa tra i centri sociali (Gabrio e Askatasuna) e le associazioni, si è realizzata e continua tutt'ora, la seconda fase, quella del soddisfacimento dei diritti, è lontana dall'essere compiuta. Del resto solamente l'ottenimento di una casa adeguata, di un'assistenza sanitaria soddisfacente, della residenza potrà permettergli la ricerca di un lavoro e quindi porre fine alla condizione emergenziale in cui vertono. Di questo i rifugiati ne sono stati consapevoli fin dal 2007, quando all'interno delle varie occupazioni, attraverso dibatti interni tra loro e con i solidali,i Rifugiati hanno deciso di non delegare e di reclamare in prima persona ciò che gli spettava. Ci sono stati vari momenti pubblici di protesta ( il 28 gennaio 2009 ci furono anche alcuni scontri con la polizia davanti alla Prefettura in Piazza Castello) in cui lo slogan "Casa, lavoro, residenza" è stato gridato a gran voce. Ad oggi la residenza ancora non gli è stata concessa così come il protocollo che consentiva loro l'ottenimento della tessera sanitaria è scaduto e non è stato rinnovato e infine l'esenzione del pagamento del ticket sanitario non si è mai tradotta in pratica. Per quanto riguarda la casa il trasferimento in via Asti, avvenuto senza incidenti con l'impiego di mezzi della Gtt come confermatoci dal dott. Gregnanini (dirigente settore servizi territoriali della Polizia Municipale), non ha risolto assolutamente il problema. Al contrario per molti di loro si è trattato di passare da una situazione in cui i tempi e gli spazi venivano da loro stabiliti e organizzati, a una realtà rigidamente normatizzata e di difficile accesso da parte di terzi. Con il trasferimento in via Asti si è messo fine in parte a un progetto, quello dell'ex Clinica san Paolo, che aveva visto realizzarsi una forte solidarietà umana e politica tra realtà molto diverse tra loro. Una solidarietà in cui gli immigrati son stati fin da subito protagonisti, attori consapevoli in grado di autodeterminarsi. Si assistito quindi a un percorso in cui l'immigrato non è più stato rappresentato ma si è presentato come attore politico in grado di avanzare precise richieste alle istituzioni. Quest'ultime del resto sembra continuino a rimandare:il giorno del trasferimento in via Asti il Comune e la Prefettura avevano stabilito in sei mesi il tempo massimo di permanenza dei rifugiati in quello stabile, probabilmente quindi verrà concessa una proroga ma nulla è certo e questo è fonte di ulteriore ansia e malumore tra i rifugiati. Ansia e malumore che porta alcuni di loro a lasciare via Asti per intraprendere, per esempio, un nuovo viaggio, questa volta "al contrario" da nord a sud, verso la raccolta dei carciofi o di altri ortaggi in meridione. Per concludere è bene segnalare che sabato prossimo dalle ore 9,30 alle 12,30 all'Unione Culturale di via Cesare Battisti 4/b ci sarà un incontro dal titolo "Chi l'avrebbe mai detto?" un anno di lavo del Coordinamento di Associazioni di Torino Percorsi di autonomia: I Rifugiati dalle case occupate alla Rete Regionale.

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