martedì 20 luglio 2010

Gheddafi chiude i centri di permanenza e libera migliaia di immigrati

di Corrado Giustiniani dal Fatto Quotidiano Senza soldi sono destinati allo sfruttamento. Notizia confermata dall’ambasciatore libico in Italia: “Non gli daremo più da mangiare” Adesso è tana libera tutti. Gheddafi ha deciso non soltanto di porre fine alla detenzione dei 205 eritrei rinchiusi nel carcere di Braq, ma di tutti gli stranieri trattenuti nei 18 centri di permanenza temporanea del paese: circa 3 mila persone, fra i quali altri 200 eritrei, e poi somali, sudanesi, nigeriani e nigerini. Tutti avranno un documento per circolare all’interno della Libia, della validità di tre mesi: non saranno le ambasciate a fornire i dati, ma gli immigrati stessi, con una loro dichiarazione. La conferma data in Italia Le voci di una imminente liberazione complessiva si erano già diffuse nel pomeriggio del 13 luglio: Laurence Hart, reponsabile dell’ufficio di Tripoli dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) aveva rivelato che l’ordine era stato appena emesso dal ministero degli Interni libico. Ma la notizia era forse troppo grossa, per essere “creduta” dai media. Ieri, però, è giunta la conferma di Hafed Gaddur, ambasciatore della Libia a Roma. Dal 16 luglio, ha dichiarato all’Ansa, “non ci sono più in Libia centri di accoglienza per immigrati, e tutti coloro che vi erano ospitati sono liberi, avranno documenti temporanei di riconoscimento e potranno reinserirsi nel tessuto sociale, trovando lavoro e alloggio”. Come si spiega l’improvvisa decisione? Con il fatto che queste migliaia di persone sono oggi “un peso”, e la Libia “non si farà più carico di dar loro da mangiare a da dormire”. Libero di lavorare chi vuole, mentre “chi non vuole può tornarsene nel suo paese”. Ma tutti “devono rispettare le leggi della Libia” che, su 5 milioni di abitanti, dà già lavoro a 2 milioni di immigrati: “Una situazione non semplice da sostenere”. Rischio emergenza umanitaria La notizia ha aspetti positivi ed altri ancora oscuri e inquietanti. Da oggi Italia ed Europa hanno tre mesi di tempo per assumere un’iniziativa concreta a favore di chi invoca l’asilo politico. Dei 205 eritrei rinchiusi per 17 giorni nel carcere di Braq, in particolare, almeno la metà erano stati respinti in mare l’anno scorso dalle nostre motovedette, mentre cercavano di raggiungere l’Italia per ottenere lo status di rifugiati. Lo rivelano alcune testimonianze di eritrei raggiunti al cellulare, tra i quali uno che si fa chiamare Daniel, e un filmato di cui è entrato in possesso Il Manifesto. Altro dato di rilievo: Gheddafi sembra aver rinunciato al progetto, annunciato in pompa magna soltanto dieci giorni fa, di identificare i migranti attraverso l’ambasciata eritrea a Tripoli, col rischio di esporli a rischi mortali, essendo quasi tutti disertori fuggiti dal fronte di una guerra ufficialmente cessata da dieci anni, quella con l’Etiopia, e di scatenare rappresaglie contro le loro famiglie. Del resto i ragazzi di Braq erano stati imprigionati proprio per essersi ribellati il 29 giugno alla firma di un consenso all’identificazione. Destinati allo sfruttamento Ma che accadrà una volta scaduto il documento temporaneo? Se non avranno trovato una sistemazione lavorativa adeguata, ottenendo così un permesso di soggiorno in sanatoria, verranno arrestati o espulsi. Fin da ora, dunque, saranno disposti ad accettare lo sfruttamento lavorativo più feroce. Probabilmente già nelle prossime settimane si rimetteranno in mano ai mercanti di vite umane, per tentare di raggiungere l’Europa, attraversando un Mediterraneo che, secondo i dati di Fortresse Europe, dal 1988 ad oggi ha già mietuto 15 mila vittime. D’altra parte l’Europa non ha molte carte da giocare. La Libia non aderisce alla convenzione di Ginevra del 1951. Aveva ammesso per anni il personale dell’Onu per i rifugiati ma ai primi di giugno ha imposto la chiusura dell’ufficio, per riaprirlo a mezzo servizio adesso, a condizione che l’Onu affronti soltanto i casi del passato e non i nuovi. “Non siamo nemmeno in grado di confermare se la notizia della liberazione sia vera” ammette Laura Boldrini, portavoce italiana dell’Unhcr. E l’ambasciatore a Roma Hafed Gaddur avvisa: “Non permettiamo a nessun Paese, amico o no, di intervenire nei nostri affar interni ”. Ma Fortress Europe lancia lo stesso un appello: “Basterebbe che ogni paese europeo si dichiarasse disponibile ad accogliere dieci eritrei, e già sarebbero 270 persone alle quali eviteremmo di rischiare la vita in mare”. Neanche uno spicciolo in tasca I ragazzi di Braq, intanto, sono stati trasportati alla mezzanotte del 15 luglio dal carcere al centro di detenzione di Sebha, 800 chilometri a sud di Tripoli, dove venerdì mattina sono stati rilasciati con quel documento di identità valido per tre mesi su tutto il territorio libico. Ma nessun taxista accettava di caricarli. I pochi che si sono lasciati convincere, hanno dovuto poi fare marcia indietro una volta giunti ai posti di blocco della polizia, che non era stata ancora informata delle novità. La maggior parte non ha uno spicciolo in tasca, e per mangiare si affida al buon cuore dei cittadini. La nuova vita da liberi è cominciata in salita.

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