mercoledì 13 ottobre 2010

Immigrati: il ritardo del Pd e il modello delle comunità territoriali

Galli: L'ingresso selettivo a quote o a punti è un approccio superato Roma, 12 ott (Il Velino) - L’idea di “immigrazione selettiva” approvata dall’assemblea nazionale del Pd è un “passo significativo” inficiato però da una contraddizione di fondo (fino a ieri “le porte erano aperte a tutti, era un diritto”) e dalla mancanza di consapevolezza sul tema (punti o quote, “è già un approccio sorpassato”). Stefano Galli, professore di Storia di Dottrine politiche all’Università Statale di Milano, studioso di federalismo e politologo di area leghista (spesso si trovano i suoi contributi sulla Padania e anche su Libero) ha analizzato con il VELINO la decisione dell'Assemblea nazionale del Pd sull’immigrazione. “Fino a ieri – ha osservato Galli – il Pd sosteneva una sorta di ‘diritto all’immigrazione’”. Cioè, chiunque avesse problemi nel proprio paese doveva venire accolto in Italia. “Adesso – ha continuato - stanno guardando all’immigrato-risorsa”. Peccato che si tratti di un “approccio vecchio, superato. Perché oggi l’immigrato è un’opportunità, e gli studi di settore dimostrano come vengano in Italia anche per fare gli imprenditori, creando nuove occasioni di lavoro per italiani e stranieri”. Insomma, il Pd arriva in ritardo perché “con la globalizzazione occorre andare oltre il discorso dei ‘punti’ o delle ‘quote’”. Ma il dibattito nel Pd è aperto, come dimostra, ha spiegato ancora il politologo, “proprio questa mattina”, un intervento su Europa di Sandro Gozi dove scrive che “‘l’immigrazione ingigantisce le debolezze strutturali della società italiana’: scarso senso civico, coesione sociale e legalità”. Temi che invece offrono, secondo Galli, una chiave di lettura interessante per un modello, quello delle comunità territoriali, teorizzato dalla corrente dei conservatori britannici del “conservatorismo civico comunitario”. Cosa propongono? Che “i problemi della globalizzazione – ha sottolineato il docente di Dottrine politiche - vengano risolti all’interno di queste comunità, che sfruttano le opportunità e minimizzano le distorsioni”. Il punto di partenza di questo modello è che “gli Stati non sono più onnipotenti, le dinamiche economiche non riguardano più lo Stato e il mercato ma le comunità territoriali e il mercato”. Di conseguenza, sarebbero proprio queste comunità con una serie di regole precise a favore della legalità, senso civico e coesione sociale a poter fare da camera di compensazione ai problemi della globalizzazione. In pratica una sorta di principio di sussidiarietà coniugato in salsa locale. Dove, a differenza delle grandi metropoli, ha notato Galli, “subentra il fattore ‘lealtà’ alla comunità”. I cittadini, responsabilizzati, diventano anche “sentinelle”, denunciando chi non rispetta le regole e viola la legalità, “evasione fiscale inclusa”. “Bisogna – ha spiegato il politologo - tentare di recuperare le regole sociali. Non a caso nel 1992 l’americano Robert Putnam scrisse ‘La tradizione civica delle regioni italiane’, una lunga indagine in lungo e in largo dove dimostrava che le comunità più coese sono quelle che hanno avuto una forte esperienza comunale”. In pratica, questo studio dimostra che c’è già “un punto di partenza” in Italia. “Siamo nel 2010 - ha sottolineato -, e la Lega ha avuto successo anche in questo modo, lavorando nelle piccole realtà. E ribadisco, parliamo di comunità non chiuse in se stesse, ma inclusive sulla base di regole e delle tradizione civiche”. In Emilia Romagna, poi, “la Lega ha lavorato come agenzia di socializzazione in contrasto ai processi disgregativi della globalizzazione”. E oggi, non a caso, ha concluso Galli, “a Brescello, il paese di don Camillo e Peppone, la sede della Lega è nella piazza centrale, quella del Pd in una traversa laterale, semi abbandonata”.

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