venerdì 24 dicembre 2010

Sinai, "violenze e marchi a fuoco"

Eritrei in fuga torturati dai predoni Ci sono viaggi che non hanno mai fine. Quello dei profughi che partono dal Corno d'Africa per arrivare in Israele ne è l'esempio. Ma non per tutti è uguale. Eritrei ed etiopi sono quelli più dannati. PHR-Israel, Physicians for Human Rights Israele, in collaborazione con Medu, Medici per i diritti dei rifugiati, ha sottoposto questionari ai rifugiati curati nelle Open Clinic, cliniche mobili di assistenza sanitaria per i rifugiati, a Tel Aviv. Dal report è emerso che queste etnie hanno subito i maltrattamenti più duri. Su un totale di 144 intervistati il 77% dei migranti denuncia di aver subito aggressioni fisiche e il restante 23% è stato anche bruciato o marchiato a fuoco. Questa crudeltà, insieme a scosse elettriche, sfregi e sprangate, è riservata solo ad etiopi ed eritrei: il 94% di loro, inoltre, è stato privato del cibo e il 74% lasciato senz’acqua. Tgcom ha intervistato Alberto Barbieri, coordinatore generale di Medu, che collaborando in prima linea con PHR, ha promosso la divulgazione del rapporto stilato sulla base dei questionari sottoposti ai pazienti curati nella open clinic di Jaffa. Come riuscite a riconoscere chi tra i pazienti ha subito violenze nel Sinai? Innanzitutto vedendo le patologie che presentano i pazienti, i medici si rendono subito conto di quello che può essere successo. A tutti i pazienti curati nella Open Clinic viene sottoposto un questionario che aiuta gli operatori a interpretare le cause dei problemi di salute. Non tutti scelgono di rispondere alle domande. Tra il 12 ottobre e il 7 dicembre 2010 sono stati intervistati 167 pazienti provenienti da Eritrea, Etiopia, Sudan, Costa d' Avorio, Somalia, Nigeria, Ghana, Congo e Sierra Leone, di cui 108 uomini e 59 donne, di età compresa tra i 19 e i 66 anni. I risultati hanno offerto una visione illuminante sulla condizione dei rifugiati provenienti dal Sinai. E' vero che non tutti i sequestrati nel Sinai vengono trattati allo stesso modo nelle carceri? Dai dati del report di PHR-Israel é emerso che gli eritrei e gli etiopi hanno subito i maltrattamenti più duri. Molte delle donne di questa nazionalità non hanno voluto rispondere alle domande sugli abusi sessuali. Delle 13 di loro che hanno risposto, il 38% ha ammesso di essere stata stuprata. Inoltre va ricordato che tra gennaio e novembre 2010 sono state 165 le interruzioni volontarie di gravidanza eseguite dalle open clinic di Jaffa. Facendo l’anamnesi e incrociando i dati dei questionari sottoposti nel periodo relativo è emerso che circa il 50% sono state violentate nel Sinai. In tutto questo periodo sono state 1.303 le donne sottoposte a trattamenti ginecologici per patologie dovute a traumi e infezioni conseguenti a violenze sessuali e quasi tutte le donne provenienti dal Sinai rientrano in questo gruppo. Inoltre sono 367 le persone sottoposte a trattamento ortopedico e 225 a fisioterapia, frutto di maltrattamenti corporali come calci, pugni e sprangate. Non mancano scosse elettriche e sospensione attaccati a catene per le mani e i piedi. Il 77% dei migranti denuncia di aver subito aggressioni fisiche ma solo il 23% è stato bruciato o marchiato a fuoco. Questa crudeltà è riservata solo ad etiopi ed eritrei: il 94% di loro, inoltre, è stato privato del cibo e il 74% lasciato senz’acqua. Il governo israeliano come reagisce alla vostra presenza? Noi sostituiamo il governo nella funzione sanitaria. Per il resto, la politica adottata da Israele considera l’arrivo dei rifugiati dall’Africa una questione di sicurezza nazionale. I rifugiati vengono considerati rifugiati ma senza garanzie, soprattutto non gli viene garantita nessuna assistenza sanitaria. Dovrebbe essere creato un grande campo di accoglienza per questi rifugiati che arrivano dal Sinai, ma non è ancora certo. Avete presentato il rapporto con i dati raccolti nei questionari alle autorità israeliane? Che reazioni ci sono state? Il lavoro di raccolta è stato svolto da PHR. Medu ha tradotto e diffuso i dati in Italia. Sono dati preliminari ma si stanno continuando ad acquisire ulteriori informazioni. I rapporti sulle percosse, le violenze e i morti sono ben noti alle autorità israeliane, ma non abbiamo avuto rispota e nulla è cambiato per i rifugiati. La situazione è annosa, tanto che il rapporto ha definito la pratica del sequestro come "istituzionalizzata". Cinzia Petito

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