giovedì 28 febbraio 2013

La scomparsa dei Diritti Umani.


Esseri umani in cambio di armi: con i profughi schiavi un affare da 35 milioni di dollari l’anno



Per il ciclo di appuntamenti organizzati dall’associazione “Rinascita Civile”, domenica prossima è in programma a Latina un incontro sulla tragedia dei rifugiati e dei migranti africani. E’ il racconto di migliaia di storie disperate: del grido di aiuto che sale dal Sud del mondo, inascoltato dalle cancellerie occidentali e dalla comunità internazionale. Ad introdurre il tema sarà il film documentario “Mare Chiuso”, di Stefano Liberti e Andrea Segre, una testimonianza diretta della vicenda crudele dei respingimenti indiscriminati in mare, che ha avuto un vasto successo di critica e di pubblico nei maggiori festival nazionali ed europei. Sarà presente Stefano Liberti che racconterà l’esperienza nel campo profughi di Shousha, in Tunisia. Seguirà una tavola rotonda coordinata da Felice Costanti, del direttivo di Rinascita Civile, con la partecipazione di Emilio Drudi, giornalista, e Gabriella Tomei, legale della cooperativa Karibu di Sezze-Roccagorga, che si occupa dei rifugiati dal Nord Africa.
L’appuntamento è alle ore 17, aula magna del liceo scientifico “Grassi”, in via del Lido. Nel corso del dibattito verrà affrontato anche il dramma dei profughi schiavi nel Sinai, spesso venduti sul mercato degli organi per i trapianti clandestini. Una emergenza umanitaria, che è anche il tema del servizio che segue.





di Emilio Drudi

Esseri umani in cambio di armi: il traffico di schiavi e di organi per i trapianti clandestini che ha base nel Sinai serve essenzialmente a rifornire gli arsenali di gruppi fondamentalisti islamici o di movimenti jihadisti, di formazioni autonomiste beduine ma anche, più semplicemente, di bande criminali. La denuncia viene da Roberto Malini, portavoce di Everyone Italia, la Ong che, al pari dell’agenzia Habeshia di don Mussie Zerai, da anni si batte per richiamare l’attenzione della comunità internazionale su questa autentica emergenza umanitaria. “E’ una tragedia – insiste don Zerai – che travolge e costa la vita ogni anno a centinaia di giovani profughi africani. Soprattutto eritrei, etiopi e somali. Uomini e donne, ma non di rado anche adolescenti e ragazzini, fuggiti dalla guerra e dalle persecuzioni nel loro paese e poi finiti in balia di organizzazioni criminali spietate. Nel silenzio quasi totale della ‘fortezza Europa’, sempre più blindata nei suoi confini e sorda al grido d’aiuto di quei disperati”.
Il giro d’affari sulla pelle di questi ragazzi è enorme. “Secondo le autorità egiziane, chiamate in causa dalle denunce e dai dossier presentati da varie Ong internazionali – riferisce Roberto Malini – si arriva a non meno di 35 milioni di dollari l’anno, quasi tutti reinvestiti nel traffico di armi”. E il trend è in crescita. Basti dire che il riscatto preteso per ogni prigioniero è salito a 50 mila dollari, cinque volte di più della taglia richiesta nel novembre 2010, meno di tre anni fa. Con l’incubo, per chi non è in grado di pagare, di essere consegnato al mercato nero dei trapianti: persone usate come “serbatoio” da cui prelevare reni, cornee ed altri organi vitali.
“Dopo anni di lotta – dice Malini – qualcosa si sta muovendo per porre fine a questo orrore. Istituzioni internazionali come le Nazioni Unite e il Parlamento Europeo hanno iniziato ad esercitare pressioni costanti sull’Egitto perché questa forma odiosa di crimine organizzato sia combattuta con mezzi adeguati. In Germania, anzi, il Parlamento sta discutendo l’eventualità di un intervento diretto a sostegno della lotta contro il traffico di schiavi nel Sinai. Ma non basta. Le organizzazioni che gestiscono il mercato di esseri umani e di organi operano a livello internazionale. Hanno radici, ad esempio, in Eritrea, in Sudan e in Egitto, dove possono contare sull’appoggio di autorità o funzionari corrotti e dei movimenti jihadisti. Collabora con i trafficanti anche un gran numero di eritrei, etiopi e sudanesi vicini all’integralismo armato, rendendo ancora più complesso e terribile questo fenomeno criminale. E i vertici dell’organizzazione hanno basi di appoggio nei paesi arabi, in Israele e perfino in paesi dell’Unione Europea o comunque occidentali, dove fluisce il denaro dei riscatti e della vendita di organi, tramite banche o agenzie di money transfer. Se davvero si vuole fermare il traffico di schiavi che alimenta poi il contrabbando di armi, è fondamentale allora istituire un organismo di controllo su questi grossi movimenti di valuta”.
Ma la situazione dei profughi, intanto, continua  peggiorare. Le frontiere europee, come denuncia don Mussie Zerai, sono sempre più blindate. La via della Libia verso l’Italia si è quasi totalmente chiusa con gli accordi bilaterali stipulati tra i governi di Roma e di Tripoli. Prima Berlusconi e poi anche Monti hanno creato una specie di “sbarramento per delega” nel Mediterraneo, affidando di fatto alla polizia e alle carceri libiche il controllo dell’emigrazione dal Nord Africa verso la Sicilia. “Ma è in pratica tutta l’Europa, appena insignita del premio Nobel per la Pace – accusa don Zerai – ad aver adottato una politica di chiusura e di ‘esternalizzazione’ dei confini continentali nel sud del Mediterraneo, delegando a paesi come la Libia il lavoro criminoso di relegare in autentici ghetti migliaia di profughi africani. In modo che non possano venire a ‘bussare’ direttamente alle sue porte. Finora ha fatto eccezione la Svizzera, che prevede la possibilità di accogliere le richieste di asilo anche presso le sue sedi diplomatiche sparse in tutto il mondo. Ma dal prossimo mese di giugno anche questo canale rischia di venir meno: è in programma un referendum proprio per chiedere l’abolizione totale anche di quella che appare ormai l’unica via rimasta. Se la proposta passerà, le mura dell’Europa si chiuderanno del tutto. Una scelta che ha un duplice, terribile risultato: espone a sofferenze indicibili profughi e rifugiati costretti in lager come quelli libici e favorisce il traffico clandestino di esseri umani”
La stessa politica viene adottata in Israele che, come “avamposto dell’Occidente”, è la meta dei profughi che cercano di fuggire attraverso il Sinai. Da circa un anno il governo ha iniziato una campagna contro i migranti senza documenti provenienti da Eritrea, Etiopia, Sudan e da altri paesi africani. Lungo tutto il confine, oltre a intensificare la vigilanza, con pattugliamenti continui via terra e ricognizioni aeree, è in fase di costruzione una barriera lunga 250 chilometri. Il primo obiettivo è bloccare le infiltrazioni di nuclei terroristi islamici e il contrabbando di armi che rifornisce i movimenti armati nella striscia di Gaza. Ma, di riflesso, si è creata una chiusura totale anche nei confronti dei rifugiati. Una chiusura non casuale, secondo Roberto Malini: “Contro i profughi sono state adottate misure draconiane che consentono di detenerli e deportarli senza alcun rispetto per i loro diritti. L’anno scorso la Knesset, nonostante le proteste del Gruppo Everyone discusse nella stessa seduta parlamentare, ha approvato un emendamento alla legge per la prevenzione delle infiltrazioni che consente l’imprigionamento senza processo, nei confronti dei migranti provenienti dall’Africa sub sahariana, nel campo di detenzione di Saharonim, nel Negev settentrionale. Non solo. Attualmente circa 60 mila profughi eritrei, etiopi e sudanesi vivono in Israele senza documenti e senza che siano valutate le loro richieste di asilo o di protezione temporanea, in violazione delle stesse leggi israeliane, oltre che della Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati”. Sessantamila giovani – aggiunge don Zerai – il cui destino appare segnato: se non interverranno cambiamenti, al momento del tutto improbabili, nella politica israeliana, il governo è deciso a rimpatriarli o comunque ad espellerli dal paese. Verso il Sudan e il Sud Sudan i rimpatri, anzi, sono già iniziati”.
Il “Nord del mondo”, insomma, continua a blindarsi proprio mentre in Africa si moltiplicano le emergenze e migliaia di profughi sono costretti a fuggire da nazioni dove sono in corso gravi persecuzioni o imperversa la guerra. Non a caso sono sempre più affollati i campi di accoglienza nel Sudan, in Etiopia, nello Yemen. Ed è proprio lì, in quei campi, che monta la disperazione che spinge poi centinaia, migliaia di giovani a tentare il tutto per tutto pur di arrivare in qualche modo in Europa o in Israele. Fornendo così una riserva infinita di vittime ai mercanti di schiavi. Nella mancanza totale di altre prospettive, infatti, per le “guide” in contatto con le organizzazioni criminali è sempre più facile attirare quei giovani, facendo balenare il miraggio di un “passaggio” clandestino attraverso il Mediterraneo o il Sinai, in cambio di 4 o 5 mila dollari. Salvo poi, una volta intascato il ticket, consegnarli in realtà ai trafficanti. E, a quel punto, il cerchio si chiude: chi non riesce a pagare il riscatto, viene messo in vendita. Qualche volta, specie le ragazze più giovani, nel giro della prostituzione internazionale o dei matrimoni forzati. Quasi sempre sul mercato dei trapianti clandestini. 

SOS Tunisia : Richiedenti asilo e rifugiati minacciati e discriminati per la loro fede cristiana.



Decine di profughi in queste ore si trovano rifugiati presso la sede dell'UNHCR a Jarjis, sono arrivati per chiedere aiuto, perché a Médenine dove sono stati sistemati, non riescono più a vivere a causa delle forti discriminazioni anche aggressioni e insulti, a motivo che sono cristiani.
Ora sono minacciati anche dalla polizia tunisina, se non lasciano immediatamente la sede dell'UNHCR, rischiano di essere arrestati e deportati verso il loro paese di origine.
Faccio appello ai responsabili dell'UNHCR, di non esporre a rischi e pericoli per la vita di queste persone, non è accettabile che gli operatori pretendano che i profughi tornino a vivere nella localita di Médenine, dove da tempo i profughi denunciano di subire discriminazioni e aggressioni fisiche e verbali.
L'UNHCR deve garantire una protezione effettiva, non devono essere esposti a qualsiasi rischio o condizione di vita che lede il loro diritto ad una vita dignitosa.

don Mussie Zerai

SOS Tunisia: Refugees threatened and discriminated because of their Christian faith.

SOS Tunisia: Asylum seekers and refugees threatened and discriminated against because of their Christian faith.


Dozens of refugees in these hours are refugees at UNHCR headquarters in Jarjis, came to ask for help, because Medenine where they were placed, no longer able to live because of the strong discrimination also attacks and insults, because they are Christians .
I just talk with one of the refugees, who is in the sit-in in front of Zarzis UNHCR. He says they are 27 people to be there of which 6 are women and one child. They are among the boat-people who arrived in September in Zarzis and that were living in the Zarzis House for Youth and then transfered to Megrine under mandate of the red crescent for local integration programs. 
It is almost confirmed that all of them are now recognized refugees under UNHCR status but that none is in process for resettlement. 
They complain, as a matter of fact, about mistreatments because of their faith in work and studies. Some of them were studying in BenGuerdane and Gabes but had to leave school because of discrimination. 
I was suprisesd as they told me "we want to go to Shusha, becasue we want to be treated as refugees and not live in society". On my intterpretation the constate of the failure of local integration programs with people that do not want and cannot live here. 
I appeal to the UNHCR, don't expose to risks and hazards to the life of these people, it is not acceptable that operators ask, that the refugees return to live in the locality of Médenine, where for long time, the refugees complain of discrimination and physical and verbal attacks.
UNHCR should ensure effective protection, should not be exposed to any risk or condition of life affecting their right to a dignified life.


Fr. Mussie Zerai

giovedì 21 febbraio 2013

Refugee emergency in Libya. But Europe is silent and electoral agendas in Italy there is no place for human rights



Emilio Drudi

"You bet 'spring Libyan'. Libya is proving to be a country that is more and more decisively towards the barbarism in terms of human and civil rights. Hundreds, thousands of African refugees suffer in the camps where they were relegated, in a situation degrading to human dignity. And Europe is complicit in this "Don Mussie Zerai, president of Habeshia, no discounts to Community policy for the humanitarian disaster is looming in Tripoli.
The dispute comes as a whip, in particular for Italy where, as we are preparing to vote for the new government, the political agenda of all political parties to human rights did not appear or take up a maximum of chapters quite marginal, much remained to be absent from the electoral debate. Even in the face of emergencies huge, as more than 1,200 migrants and asylum seekers who, in these days, threatened with expulsion from Tripoli to their countries of origin where, at best, expect them long years in prison.
Libya has not signed the Geneva agreements on the protection of migrants and refugees. With Gaddafi, however, signed the Convention of the African Union, in force since 1974, which is binding on all Member States to receive and protect refugees "without distinction of race, nationality, membership of a particular religious group or political" . "Only that in the new Libya, one born of revolt against Gaddafi - says Don Zerai - the opposite happens, as if that agreement did not exist. In these weeks leading up to the second anniversary of the revolution which was hit the Gaddafi regime, the military and the police have unleashed a real hunt black. Victims are Eritrean, Ethiopian, Somali refugees but also the band sub-Saharan Africa. The country is heading rapidly towards a further barbarism on the most basic rights. In recent months we have received numerous testimonies from Christians attacked only because they carried an image, a sign of their faith. And in detention centers discrimination is constant: even non-Muslims are obliged to observe the rules of Ramadan and you risk a beating fierce if you are caught with a Bible in hand or with a cross around his neck. "
The situation is particularly severe in the fields of Sebha and Birak in the far south hall expulsion to their countries of origin, tenaciously pursued by the government in Tripoli although for many refugees, starting with the Eritreans, the return to the states by whom have fled means years and years of hard prison or even death. But, apart from the risk of expulsion, the same conditions of detention in Libya are terrible. Agency Habeshia came reports of prisoners herded dozens in one room. In one case, even 130, in a real hell dormitory infested rats and lice, a few sips of water to drink and nothing at all for personal hygiene, inedible food, clothes reduced to rags, held subject to constant beatings and ill-treatment or used as arms work at no cost. Slaves deprived of any right to which is subtracted also most of international aid: "80 percent of the material that comes from Western NGOs disappears at the hands of security guards in refugee camps and humanitarian organizations do not have the strength to request that, as foreseen in the agreements, all donated resources are instead used effectively for migrants and refugees. Even many sick or injured to the aftermath of beatings and ill-treatment are left to themselves: there are no doctors, no assistance, are made to disappear medications taken by the NGOs. "
"A deafening silence and guilt surrounding this - says Don Zerai - Ports and eyes closed in the face of an ordeal that is revealed every day a serious violation of the Universal Declaration of Human Rights of 1948, the Geneva Conventions on humanitarian law international treaties and declarations on international and regional needs of refugees and of the Convention of the African Union, Libya has signed. " But Europe is silent. In fact, trying to raise a thick curtain of "mute" on this serious humanitarian emergency that she favored and still contributes to food every day. Don Zerai is adamant about it: "Europe, Nobel Laureate for Peace, has a guilty conscience with the blood of so many innocent people who die in Libyan detention centers, commissioned by the policy of closure and 'outsourcing' of continental borders in the south the Mediterranean. Europe is complicit in the violations of human and civil rights, discrimination on grounds of race and religion of which they are victims in Libya today thousands of refugees in sub-Saharan Africa. How denounce today, is the result of many political and diplomatic pressure that Europe has done and continues to do because countries like Libya do the work to close criminal in real ghettos thousands of African refugees. So that they can not come knocking directly on its doorstep. " In other words, no matter what the species barrier "by proxy" produces suffering, oppression and death. Import only "lock down" the Mediterranean. And the ensuing massacre takes place as far as possible and as quietly as possible. That does not raise clamor, in fact.
So far has been no exception to Switzerland, perhaps the only country that provides the ability to accommodate requests for asylum even at its embassies all over the world. "But in the month of June - warns Don Zerai - this channel is likely to close: is planning a referendum to ask their total abolition also of that which is now the only option. If the proposal passes, the circle of Fortress Europe will close completely. A choice on the one hand promotes illegal trafficking in human beings and other exponentially increases the suffering of refugees and displaced persons, forced into concentration camps such as those in Libya. And 'essential, then, that the European Union to change its immigration policy, immediately removing the agreements with countries that do not respect human rights and the rights of refugees and opening a legal path protected input for asylum seekers. While also providing the opportunity to submit questions at the diplomatic missions, especially where there are humanitarian emergencies and obvious cases of persecution. "
Beyond the responsibility of the entire European Union, is an indictment that directly affects Italy. It is clear that the policy followed so far on immigration and the reception due to an infinite range of rights violations, cruel forms of exploitation, bullying, victims. Yet, in the debate of the election campaign that is about to end, this chapter has been totally ignored. Indeed, "Mute". He was silent the right, which is responsible for the delegation to Libya on the control of migrants in the Mediterranean, with the agreements signed at the time by Berlusconi. He was silent the center, with the Monti government has renewed the agreement. He was silent even the left, who voted en bloc these terms from the start, without getting a single doubt. The same Bersani, during his visit to Libya as leader of the center, in the aftermath of the primaries just won, was careful not to raise the issue. Despite complaints and appeals by the UN High Commissioner for Refugees and, above all, of Amnesty International. Not a word, in particular, by the Italian politics, the petition asked by Amnesty to all parties to listen to "the cry of the oppressed and the persecuted" that rises every day from the South. Starting precisely from Libya.

Emergenza profughi in Libia. Ma l’Europa tace e nelle agende elettorali in Italia non c’è posto per i diritti umani


di Emilio Drudi

“Altroché ‘primavera libica’. La Libia si sta rivelando un paese che va sempre più decisamente verso l’imbarbarimento sul piano dei diritti umani e civili. Centinaia, migliaia di rifugiati africani soffrono nei lager dove sono stati relegati, in una condizione degradante per la dignità dell’uomo. E l’Europa è complice di tutto questo”: don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia, non fa sconti alla politica comunitaria per il disastro umanitario che si profila a Tripoli.
La contestazione arriva come una frustata, in particolare, per l’Italia dove, mentre ci si appresta a votare per il nuovo governo, nelle agende politiche di tutti i partiti i diritti umani di fatto non compaiono o occupano al massimo capitoli del tutto marginali, tanto da essere rimasti assenti dal dibattito elettorale. Anche di fronte ad emergenze enormi, come gli oltre 1.200 migranti e richiedenti asilo che, proprio in questi giorni, rischiano l’espulsione da Tripoli verso i paesi d’origine dove, nella migliore delle ipotesi, li aspettano lunghi anni di carcere.
La Libia non ha mai firmato gli accordi di Ginevra sulla tutela degli immigrati e dei profughi. Con Gheddafi, però, ha sottoscritto la convenzione dell’Unione Africana, in vigore dal 1974, che impegna tutti gli Stati membri ad accogliere e proteggere i rifugiati “senza distinzione di razza, di nazionalità, di appartenenza a un determinato gruppo religioso o politico”. “Solo che nella nuova Libia, quella nata dalla rivolta contro il rais – denuncia don Zerai – accade il contrario, come se quella convenzione non esistesse. In queste settimane che precedono il secondo anniversario della rivoluzione da cui è stato travolto il regime di Gheddafi, i militari e la polizia hanno scatenato un’autentica caccia al nero. Ne sono vittime eritrei, etiopi, somali ma anche profughi della fascia sub sahariana. Il paese sta andando rapidamente verso un ulteriore imbarbarimento sul piano dei diritti più elementari. Negli ultimi mesi abbiamo ricevuto numerose testimonianze da parte di cristiani aggrediti soltanto perché portavano un’immagine, un segno della loro fede. E nei centri di detenzione la discriminazione è costante: anche i non islamici sono costretti ad osservare le norme del ramadan e si rischia un pestaggio feroce se si viene sorpresi con una bibbia in mano o con una croce al collo”.
Particolarmente pesante è la situazione nei campi di Sebha e Birak, nell’estremo sud, anticamera dell’espulsione verso i paesi d’origine, perseguita con tenacia dal governo di Tripoli nonostante per molti profughi, a cominciare dagli eritrei, la riconsegna agli stati dai quali sono fuggiti significhi anni e anni di prigione durissima o anche la morte. Ma, a parte il rischio espulsione, le stesse condizioni di detenzione in Libia sono terribili. All’agenzia Habeshia sono arrivate segnalazioni di prigionieri ammassati a decine in una sola stanza. In un caso addirittura 130, in un autentico inferno: camerone infestato di topi e pidocchi, pochi sorsi d’acqua per bere e niente del tutto per l’igiene personale, cibo immangiabile, abiti ridotti a stracci sporchi, detenuti sottoposti a continui pestaggi e maltrattamenti o utilizzati come braccia da lavoro a costo zero. Schiavi privati di ogni diritto, ai quali viene sottratta anche la maggior parte degli aiuti internazionali: “L’80 per cento del materiale che arriva dalle Ong occidentali sparisce ad opera degli addetti alla sorveglianza dei campi profughi e le organizzazioni umanitarie non hanno la forza di chiedere che, come prevedono gli accordi, tutte le risorse donate siano invece utilizzate effettivamente per i migranti e i rifugiati. Persino i malati o i tanti feriti per i postumi delle percosse e dei maltrattamenti vengono abbandonati a se stessi: non ci sono medici, non c’è assistenza, sono fatti sparire i farmaci portati dalle Ong”.
“Un silenzio assordante e colpevole circonda tutto questo – denuncia don Zerai – Bocche e occhi chiusi di fronte a un calvario che si rivela giorno per giorno una violazione gravissima della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, delle Convenzioni di Ginevra sul diritto umanitario internazionale, dei trattati e delle dichiarazioni internazionali e regionali sulle necessità dei rifugiati e della stessa convenzione dell’Unione Africana che la Libia ha firmato”. Ma l’Europa tace. Anzi, cerca di innalzare una spessa cortina di “silenziamento” su questa grave emergenza umanitaria che lei stessa ha favorito e che contribuisce ancora ad alimentare, giorno per giorno. Don Zerai è inflessibile in proposito: “L’Europa, premio Nobel per la pace, ha la coscienza sporca del sangue dei tanti innocenti che muoiono nei centri di detenzione libici, voluti dalla politica di chiusura e di ‘esternalizzazione’ dei confini continentali nel sud del Mediterraneo. L’Europa è complice delle violazioni dei diritti umani e civili, delle discriminazioni per motivi di razza e di religione di cui sono vittime oggi in Libia migliaia di profughi dell’Africa sub sahariana. Quanto denunciamo oggi, infatti, è il frutto delle tante pressioni politiche e diplomatiche che l’Europa ha fatto e continua a fare perché paesi come la Libia facciano il lavoro criminoso di chiudere in autentici ghetti migliaia di profughi africani. In modo che non possano venire a bussare direttamente alle sue porte”. Come dire, non importa che questa specie di sbarramento “per delega” produca sofferenze, soprusi, morte. Importa solo “blindare” il Mediterraneo. E che il massacro che ne deriva avvenga il più lontano possibile e il più possibile in silenzio. Che non desti clamore, insomma.
Finora ha fatto eccezione la Svizzera, forse l’unico paese che prevede la possibilità di accogliere le richieste di asilo anche presso le sue sedi diplomatiche sparse in tutto il mondo. “Ma dal prossimo mese di giugno – avverte don Zerai – anche questo canale rischia di chiudersi: è in programma un referendum proprio per chiedere l’abolizione totale anche di quella che appare ormai l’unica possibilità rimasta. Se la proposta passerà, il cerchio della fortezza Europa si chiuderà del tutto. Una scelta che da una parte favorisce il traffico clandestino di esseri umani e dall’altra aumenta in modo esponenziale la sofferenza di profughi e rifugiati, costretti in lager come quelli libici. E’ essenziale, allora, che l’Unione Europea cambi la sua politica sull’immigrazione, rimuovendo subito gli accordi presi con i paesi che non rispettano i diritti umani e i diritti dei rifugiati e aprendo un percorso legale protetto di ingresso per i richiedenti asilo. Prevedendo anche la possibilità di presentare le domande presso le sedi diplomatiche, specie dove ci sono situazioni d’emergenza umanitaria ed evidenti casi di persecuzione”.
Al di là delle responsabilità dell’intera Unione Europea, è un atto di accusa che investe direttamente l’Italia. Appare evidente che la politica seguita finora sull’immigrazione e sull’accoglienza causa una gamma infinita di violazioni di diritti, forme crudeli di sfruttamento, prevaricazioni, vittime. Eppure, nel dibattito della campagna elettorale che si sta concludendo, questo capitolo è stato totalmente ignorato. Anzi, “silenziato”. Ha taciuto la destra, alla quale si deve la delega alla Libia sul controllo dei migranti nel Mediterraneo, con gli accordi firmati a suo tempo da Berlusconi. Ha taciuto il centro, che con il governo Monti ha rinnovato quella intesa. Ha taciuto anche la sinistra, che ha votato in blocco questi patti fin dall’inizio, senza farsi venire un solo dubbio. Lo stesso Bersani, nel suo viaggio in Libia come leader del centrosinistra, all’indomani delle primarie appena vinte, si è guardato bene dal sollevare il problema. Nonostante le denunce e gli appelli del Commissariato dell’Onu per i rifugiati e, soprattutto, di Amnesty International. Non una parola, in particolare, da parte della politica italiana, sulla petizione rivolta da Amnesty a tutti i partiti per ascoltare “il gemito degli oppressi e dei perseguitati” che sale ogni giorno dal Sud del Mondo. A cominciare proprio dalla Libia.  

martedì 19 febbraio 2013

Libya: Black African refugees and refugee camps in inhuman conditions



African refugees in sub-Saharan Africa are jailed in Libya-camps, places of detention terrible, took Europe! We receive dozens of reports of IDPs and refugees, mostly from the Horn of Africa, held without plausible reason in these camps of the third millennium, so similar to the "old" no respect for the human being, both physically and mentally.
In recent weeks, hundreds of Ethiopians, Eritreans and Somalis to be victims of hunting black, strongly supported the initiative and supported by the police and the Lebanese Army, just in time for the second anniversary of the fall of the old regime of Gaddafi. But what "revolution"? "The Libyan Spring" is nothing but a barbarism of Human and Civil Rights! In recent months, many Christians, carrying signs of their faith, have contacted us and testified that they had been assaulted in detention centers because they profess a different faith. They were forced to observe Ramadan and beaten if found in possession of a Bible or a cross around her neck .....
Libya does not respect the rights of asylum seekers and / or refugees. It seems to go back in the dawn of time. We like to remember that Ghedaffi was a signatory of the 1969 OAU Convention, which entered into force in 1974, but that still does not meet Libya, see Article IV Non-discrimination: "Member States undertake to apply the provisions of this Convention to all refugees, regardless of race, religion, nationality, membership of a particular social group or political opinion. "
In modern Libya, it is exactly the opposite!
What happens in the detention centers of Sebha and Birak is a grave violation of Human Rights of 1948 and
the four Geneva Conventions (1949 on International Humanitarian Law, as well as a number of international and regional treaties and declarations, non-binding, that meet specifically the needs of refugees, and the 1969 OAU Convention, which note further, Libya signed.
But what is the real situation of the refugees in the camps Libyans? Their living conditions are unacceptable. The degradation is complete. Refugees and asylum seekers living in 130 crowded into a room of 16 square meters, in the company of lice and rats, no water for personal hygiene and no change of clothes. Even drinking water is low and the food is so bad that you would not even dogs. They are used as free labor, we point out: they are SLAVES, and are constantly harassed both physically and verbally. There are no medicines of any kind available, even a trivial Panadol. We know that some people are suffering in
because of the beatings and beatings by the military who suffer. Medical care is not adequate.
Europe, Nobel Prize for Peace, has a guilty conscience, blood of so many innocent people who die in detention centers and camps in Libya, took the policy of closing of European borders to the south of the Mediterranean. The Europe makes it complicit in the violation of human and civil rights, discrimination and racial and religious they face today in Libya, thousands of refugees from Sub-Saharan Africa.
It has come to this through the continuous pressure that Europe has exercised and still exercises incessantly both in terms of political, economic and diplomatic that of countries such as Libya, to do this job criminal, that is locked up in concentration camps thousands of people to avoid a knock at the gates of Europe.
Even Switzerland, which until now, granted the requests for asylum in its diplomatic missions in various parts of the world, the month of June has called a referendum. Citizens must comment on the total closing reception. Another possibility that could vanish forever. These choices will favor one side the trafficking of human beings, on the other increases the unjustified suffering of refugees and displaced persons, forced to live (or die) in the camps as soon as we have described above.
We call for Europe to assume its responsibilities and to change its policy on immigration. Ask in a loud voice that they comply with the Human Rights are discarded agreements with countries that do not respect the international conventions for the protection of human rights of refugees.
Europe must do to ensure a secure location and legal input for asylum seekers, with appropriate settlement programs is possible. The asylum seeker should be able to apply for asylum in diplomatic missions and, in the case of emergency humanitarian evacuation. The life and dignity of every man must never be jeopardized and never be left to chance, fate.

Fr. Mussie Zerai

Profughi e Rifugiati Africani trattenuti nel Lager in Libia


Rifugiati Africani dell'area Sub-Sahariana rinchiusi nelle prigioni-lager in Libia, luoghi di detenzione terribili, voluti dall'Europa ! Riceviamo decine di segnalazioni di profughi e rifugiati, per la maggior parte provenienti dal Corno d'Africa, trattenuti senza ragione plausibile in questi lager del terzo millennio, tanto simili a quelli "antichi" : alcun rispetto per l'essere umano, sia dal punto di vista fisico che psichico.
In queste ultime settimane sono centinaia gli Etiopi, Eritrei e Somali ad essere vittime della caccia al nero, iniziativa fortemente voluta ed appoggiata dalla Polizia e dai Militari Libanesi, proprio in concomitanza del secondo anniversario della caduta del vecchio regime di Gheddafi. Ma quale "rivoluzione" ? "La Primavera Libica" non è altro che un imbarbarimento dei Diritti Umani e Civili ! Negli ultimi mesi, molti cristiani, che portavano segni evidenti della loro fede, ci hanno contattato e testimoniato di esser stati aggrediti nei centri di detenzione proprio perché professavano una fede diversa. Sono stati costretti ad osservare il ramadan e venivano picchiati qualora trovati in possesso di una Bibbia o una croce al collo.....
La Libia non rispetta i diritti dei richiedenti asilo e/o dei rifugiati. Sembra ritornare indietro nell'alba dei tempi. Ci piace ricordare che Ghedaffi è stato firmatario della Convenzione dell'OUA del 1969 ed entrata in vigore nel 1974, ma che a tutt'oggi la Libia non rispetta, vedi Articolo IV Non discriminazione: “Gli stati membri si impegnano ad applicare le disposizioni della presente Convenzione a tutti i rifugiati, senza distinzione di razza, di religione, di nazionalità, di appartenenza ad un determinato gruppo sociale o di opinioni politiche”.
Nella Libia moderna succede esattamente il contrario !
Ciò che succede nei centri di detenzione di Sebha e Birak è una gravissima violazione dei DIRITTI DELL'UOMO DEL 1948 e delle quattro Convenzioni di Ginevra (1949 sul Diritto Umanitario Internazionale, come pure di una serie di trattati e dichiarazioni internazionali e regionali, vincolanti e non, che vanno incontro in modo specifico alle necessità dei rifugiati, e della Convenzione dell'OUA del 1969, che, ricordiamo ulteriormente, la Libia ha firmato.
Ma qual è la situazione reale dei rifugiati nei Lager Libici? La loro condizione di vita è inaccettabile. Il degrado è totale. I profughi e richiedenti asilo vivono in 130 ammassati in un locale di 16 mq, in compagnia di pidocchi e topi, senza acqua per l'igiene personale e senza cambio di vestiti. Anche l'acqua potabile è insufficiente ed il cibo è così cattivo che non si darebbe nemmeno ai cani. Vengono usati come forza lavoro gratuita, precisiamo : sono SCHIAVI, e vengono maltrattati continuamente sia fisicamente che verbalmente. Non ci sono medicinali di nessun genere a disposizione, nemmeno un banale Panadol. Sappiamo che alcune persone sono molto sofferenti a causa delle percosse e dei pestaggi che subiscono dai militari. Le cure mediche non sono adeguate.
L'Europa, Premio Nobel per la Pace, ha la coscienza sporca di sangue, sangue di tanti innocenti che muoiono nei centri di detenzione e lager libici, voluti dalla politica di chiusura dei confini Europei a sud del Mediterraneo. L'Europa i rende così complice della violazione dei diritti umani e civili, delle discriminazioni sia razziali che religiose di cui sono vittime oggi in Libia migliaia di profughi provenienti dall'Africa Sub-Sahariana.

Si è arrivato a tutto ciò grazie alle pressioni continue che l'Europa ha esercitato ed ancora esercita incessantemente sia dal punto di vista politico, sia diplomatico che economico su paesi come la Libia, affinché faccia questo lavoro criminoso, cioè di rinchiudere nei lager migliaia di persone per evitare che bussino alle porte dell'Europa.
Anche la Svizzera, che fino ad ora accoglieva le richieste d'asilo nelle sue sedi diplomatiche nelle varie parti del mondo, il prossimo mese di giugno ha indetto un referendum. I cittadini dovranno esprimersi sulla totale chiusura di accoglienza. Un'altra possibilità che potrebbe svanire definitivamente. Queste scelte favoriscono da una parte il traffico di esseri umani, dall'altra aumenta la sofferenza ingiustificata dei profughi e rifugiati, costretti a vivere (o morire) nei lager come appena abbiamo descritto qui sopra.
Chiediamo che l'Europa si assuma le sue responsabilità e cambi la sua politica sull'immigrazione. Chiediamo a gran voce che vengano rispettati i Diritti Umani che vengano annullati accordi con paesi che non rispettano le Convenzioni Internazionali per la tutela dei diritti umani dei rifugiati.
L'Europa deve fare sì affinché un percorso protetto e legale di ingresso per i richiedenti asilo, con adeguati programmi di insediamento sia possibile. Il richiedente asilo dovrebbe poter presentare la domanda di asilo presso le sedi diplomatiche e, in caso di emergenza, evacuazione umanitaria. La vita e la dignità di ogni uomo non deve mai essere messa in pericolo e mai essere abbandonata al caso, al destino.

sabato 16 febbraio 2013

C’E’ POCO DA CELEBRARE NEL DECIMO ANNIVERSARIO DI DUBLINO: UNA NUOVA RICERCA MOSTRA CHE IL SISTEMA CONTINUA A VIOLARE I DIRITTI DEI RIFUGIATI



SOTTO EMBARGO FINO AL 18 FEBBRAIO 2013, 09.00

18 FEBBRAIO 2013
Oggi il regolamento Dublino - che identifica lo Stato europeo competente per la decisione su una domanda d’asilo - compie dieci anni. In questa occasione, Forum Réfugiés-CosiECRE, l’ Hungarian Helsinki Committee, il Consiglio Italiano per I Rifugiati e altri partner nazionali pubblicano uno studio comparativo su come il Regolamento viene applicato dai diversi Stati, The Dublin II Regulation: Lives on Hold , che dimostra come il sistema Dublino continui a fallire sia nei confronti degli Stati membri che dei rifugiati.
Il rapporto rivela le dure conseguenze del sistema Dublino sui richiedenti asilo: le famiglie sono separate, le persone vengono lasciate senza mezzi di sostentamento o detenute e, a dispetto dell’obiettivo del Regolamento, l’accesso alla procedura d’asilo non è sempre garantito.
Come esempio della sofferenza causata dal sistema Dublino sulle famiglie, la storia di una padre Ceceno separato dal suo bambino appena nato dalle autorità austriache. Mentre il bambino è stato riconosciuto rifugiato in Austria, il padre è stato mandato in Polonia sotto il Regolamento Dublino. La richiesta del padre per il ricongiungimento familiare in Polonia è stata rifiutata dalle autorità austriache e così il padre è rimasto separato da sua moglie e dal figlio a causa dell’applicazione meccanica del sistema. Infatti, la maggioranza delle persone rinviate in un altro paese sotto il Regolamento Dublino sono effettivamente ritornate nel primo stato in cui sono entrate irregolarmente in Europa.
I richiedenti asilo della Procedura Dublino sono frequentemente trattati come “persone di serie B” che godono di meno diritti in termini di condizioni di accoglienza. Ogni volta che ci sono carenze nella capacità di alloggio per i richiedenti asilo, chi è sotto la procedura Dublino è spesso il primo ad esserne colpito. L’accesso all’alloggio in alcuni Stati Membri non è assicurato e alcuni richiedenti asilo sono costretti a prendere misure drastiche quali ricorrere ai tribunali per accedere all’abitazione o addirittura la costruzione di alloggi di fortuna.
Meno della metà dei trasferimenti concordati sotto Dublino sono realmente portati a termine, il che suggerisce il fatto che ci sia molta burocrazia sprecata. Tuttavia, nessun dato completo sul costo finanziario dell’ applicazione del Regolamento Dublino è stato mai pubblicato.
La futura adozione del Regolamento Dublino III contiene delle significative aree di miglioramento, come il diritto ad un colloquio personale, ma mantiene i principi alla base del Sistema Dublino e non affronterà tutte queste carenze. L’applicazione del Regolamento richiederà uno stretto monitoraggio da parte della Commissione Europea al fine di assicurare la sua corretta implementazione da parte di tutti gli Stati Membri.
Infine, i principi alla base del regolamento Dublino debbono essere rivisti in maniera strutturale per disegnare un sistema più equo e umano che consideri il caso individuale dei richiedenti asilo e le loro connessioni con particolari Stati Membri, e quindi favorisca le loro prospettive di integrazione in Europa.

Background

La ricerca riguarda la prassi del Regolamento Dublino II in materia di diritti fondamentali in 11 stati: Austria, Bulgaria, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Slovacchia, Spagna, Svizzera e Paesi Bassi.

La relazione comparativa e le relazioni nazionali sono disponibili al sito: www.dublin-project.eu

Ulteriori informazioni:

Per i costi umani del sistema Dublino, leggere le storie personali di:

 - Una famiglia Irachena di richiedenti asilo il cui allontanamento imminente dalla Bulgaria alla Grecia - nel quadro dell’accordo di riammissione tra i due Paesi - è stato impedito solo attraverso l’intervento dei tribunali nazionali ed il coinvolgimento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha temporaneamente bloccato il trasferimento.

- Kazim, proveniente dall’ Afghanistan. Kazim ha viaggiato dalla Germania alla Svezia, dove le autorità hanno richiesto alla Germania di riprenderlo. La Germania ha accettato la responsabilità di esaminare la sua richiesta di asilo, che è stata respinta dalle autorità in quanto manifestatamene infondata a causa dell’assenza di Kasim al colloquio e della mancanza di una spiegazione ragionevole per tale assenza. In realtà, si trovava ancora in Svezia dato che le autorità svedesi lo hanno espulso due settimane dopo la data del colloquio.

Tutte le dichiarazioni sono state rese anonime per proteggere le identità.

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venerdì 15 febbraio 2013

Libya: 1,200 refugees threatened with deportation. Silence about their rights trampled





Emilio Drudi


There are over 1,200 refugees and migrants who risk deportation from Libya to their countries of origin. At best, once returned to the government from which they fled, they expect a process for illegal immigration, but in reality, many years in prison or even death. Species in Eritrea, where the flight from the country is equivalent in practice to desertion from the army. And the Eritreans are many: 350 of those 1,200. The others are from Ethiopia, Somalia, Nigeria, Niger and Chad. They were all concentrated in two prisons in the south about 70 km distant from each other, and Barika Sebha, where they are detained foreigners classified as sick. And the disease seems to be the justification from Tripoli to the deportation order. It also discussed the Libyan television and radio. "We are forced to take this decision - it was said - because many of them are carriers of diseases and other problems." "This is an absurd and motivation clearly racially motivated" complaint don Mussie Zerai, the president of the agency Habeshia, which calls for the umpteenth time the mobilization of the international community on the infinite tragedy of refugees. In particular, for "if Libya", where the violence against "blacks" show a strong resurgence: "They continue at this time assaults and robberies against refugees. In Abu Salim, a district of Tripoli, hundreds of migrants must remain segregated in the house. They are afraid to go out, because there are militias raking the streets in search of 'blacks'. If someone comes up just to buy bread, is attacked, robbed and then deported to the south, toward the prison of Sheba. The police remain inert pretends not to see. Although these attacks arise from obvious racial or religious prejudices. It 's just that the real motive. "
Racism and oppression, then. Not health problems. Moreover, if indeed any of those refugees were sick, according to international conventions should be treated, not dismissed. Indeed, it would be one more reason to welcome and protect him. But Libya does not provide any medical assistance to migrants: those who even throws in its prisons. He cares only to discard it. Mature in this context, the forced repatriation of those desperate 1200. Indifference of all Western governments, knowing the risks to which these young people are exposed. And in the deafening silence of all political forces. In Italy as in Europe. Affects in particular, as regards Italy, the position of the Democratic Party, because of the guiding themes with which he inaugurated the campaign has placed just what rights. He spoke the same candidate for prime minister, Pierluigi Bersani, insisting on the right to be considered Italian in effect for boys children of immigrants born or raised in Italy. The correct statement, finally, that citizenship is not acquired in accordance with the principle of jus sanguinis racist but jus soli. How do you always in France, for example, where is everyone who is born citizen of the Republic, regardless of the family of origin.
It is a subject on which, later on, the same Bersani has insisted. Anyway, it inflames the political debate in the few days left to vote. But he had a cult following, so that we are appended, albeit with a much more nuanced argument, even Berlusconi. Positions of closure is only the League. The same attention, however, the Democratic Party does not seem to show it to those 1,200 migrants who are about to be delivered to a destination at least obscure and, more generally, for all the desperate blocked in Libya. Thousands of young men and women who have reached the country with the hope of finding any shipment to Europe. Especially those that always in the thousands, were intercepted by the Libyan police and are now living in confined places that the hypocrisy of the Italian Government called shelters but are authentic lager. Where there are no rights, only ill-treatment, rape, forced labor, extortion, rapes, torture. Death itself. Those young men are there largely thanks to our immigration policy. They are there for the indiscriminate expulsions at sea adopted in recent years and the stubbornness to want to hear their cry for help. They are there because Italy has entrusted the task of Libya gendarme of the Mediterranean, in order to eliminate or at least contain the flow of migration from North Africa to our shores. They are there, in the end, thanks to the infamous bilateral agreement signed by Berlusconi and Gaddafi, sponsors and in particular the then Interior Minister Roberto Maroni.
But all this does not seem to remember the Democratic Party. Perhaps because he has a lot to atone for in this affair, starting with the vote in Parliament, that agreement between Italy and Libya in two. The office of the foreign party apparently had expressed serious concerns and the same group in the House was largely oriented to no, but would intervene strong pressure from the top to align the will of the government. And in the end, all folded. On the skin of thousands of young people fleeing from hunger, persecution and war. You would be able to correct shooting Monti, the new prime minister. So much more than just a year ago, just for the rejections to Libya, Italy was condemned by the European Court of Human Rights. But no. Monti has renewed the covenant general friendship with the new Libyan government and the beginning of April, well after the sentence from Europe, the interior minister Anna Maria Cancellieri signed with his counterpart in Tripoli an agreement migration that follows almost step by step the one desired by Maroni. Semisecret agreement. In Parliament it was discussed. To reveal the content was Amnesty International, with a big campaign that ended with the presentation of a petition to the Minister Cancellieri European, full of tens of thousands of signatures to demand the withdrawal of bilateral agreements. The Democratic Party has remained silent. Indeed, by its own confidential information filtered by the Foreign Office, it emerged that would Stoppata a question to the Minister for Clerks to account for its actions. Also in relation to repeated complaints from various international organizations on violence and abuses against migrants by Libyan police and the inhuman conditions of life in the 22 detention camps that Tripoli has reserved for foreigners caught in its territory.
Not enough. Excellent opportunity to discuss these issues finally came when in December, the day after the primary, Pierluigi Bersani has made an official visit to Libya, almost as a future prime minister. And instead, if it has not been mentioned. So many words on the importance of political and economic relations between Italy and the Government of after Gaddafi, but not a breath on the human rights of refugees and migrants as a prerequisite for any kind of cooperation. Pretending to forget that Tripoli has not signed the Geneva Convention of 1951 on the protection of refugees. Yet the European Union, through the commission for human rights and for internal affairs, just two months before he had acquired a dossier on the dire situation in Libya which are condemned immigrants and asylum seekers: a complaint about prison conditions presented unequivocal by Don Mussie Zerai, called a hearing officer in Brussels.

Now comes another emergency. In these days don Zerai has collected new information to update the report on prisons, finding ample confirmation that the situation continues to deteriorate. And, above all exploded the case of the 1,200 refugees and migrants at risk of forced deportation. Even this emergency has been reported to the secretariat of the National Democratic Party, through some candidates for the Senate and the House. But there were no reactions. According to confidential items out of the office abroad, the justification would be that "this transition and elections can not do much." "The rooms are closed and will meet on March 15 - the answer is unofficial - The situation that lies ahead is reasonable to think long consultations for the formation of the Government, which will come up before mid-April. It 's the government that can actually do something. "
In short, all silent "fault" of the election. Actually own the elections may be an opportunity to bring up this emergency, making it one of the topics of political debate. With the commitment of making it a priority for the next term and, more immediately, to put pressure on the Foreign Ministry in Tripoli require it because the situation in prisons and forced repatriation of those 1,200 and more migrants. Not to mention the action at European level, with parliamentarians in Strasbourg and the Council in Brussels. But no. He remains silent. Yet, fighting for the rights of those displaced slaves in Libya and claim the right to citizenship for children born in Italy to foreign couples are two chapters of the same battle. So how to fight for labor rights and health of workers Fiom discriminated by Fiat and sick leave without assistance. Homosexuals and the disabled, marginalized women and young people who have been stealing the future, education and social services. If you leave out even one of these points you question everything. And he comes to suspect that there is talk of rights only instrumentally. With eyes dimmed by the prospect of gaining or losing a handful of votes.

Libia: 1.200 profughi rischiano la deportazione. Silenzio sui loro diritti calpestati



di Emilio Drudi
Ci sono oltre 1.200 rifugiati e migranti che rischiano la deportazione dalla Libia verso i paesi d’origine. Nella migliore delle ipotesi, una volta riconsegnati al governo dal quale sono fuggiti, li aspetta un processo per emigrazione clandestina ma, in realtà, lunghi anni di prigione o addirittura la morte. Specie in Eritrea, dove la fuga dal paese è equiparata in pratica alla diserzione dall’esercito. E gli eritrei sono tantissimi: 350 di quei 1.200. Gli altri vengono dall’Etiopia, dalla Somalia, dalla Nigeria, dal Niger e dal Chad. Sono stati tutti concentrati in due carceri del sud distanti tra loro circa 70 chilometri, Sebha e Barika, dove vengono rinchiusi gli stranieri classificati come ammalati. E proprio la malattia pare sia la giustificazione addotta da Tripoli per il decreto di espulsione. Ne hanno parlato anche la televisione e la radio libiche. “Siamo obbligati a prendere questo provvedimento – è stato detto – perché molti di loro sono portatori di malattie ed altri problemi”. “Si tratta di una motivazione assurda e chiaramente a sfondo razziale”, denuncia don Mussie Zerai, il presidente dell’agenzia Habeshia, che sollecita per l’ennesima volta la mobilitazione della comunità internazionale sulla tragedia infinita dei rifugiati. In particolare per il “caso Libia”, dove le violenze contro i “neri” registrano una forte recrudescenza: “Continuano in queste ore le aggressioni e le rapine contro i profughi. Ad Abu Selim, un quartiere di Tripoli, centinaia di migranti devono restare segregati in casa. Hanno paura di uscire, perché ci sono bande di miliziani che rastrellano le strade a caccia di ‘neri’. Se qualcuno esce anche solo per acquistare il pane, viene assalito, derubato e poi deportato al sud, verso il carcere di Sheba. La polizia resta inerte: finge di non vedere. Benché queste aggressioni nascano da evidenti pregiudizi razziali o religiosi. E’ solo questo il vero movente”.
Razzismo e soprusi, dunque. Non problemi sanitari. Del resto, se davvero qualcuno di quei profughi fosse malato, in base alle convenzioni internazionali dovrebbe essere curato, non respinto. Anzi, sarebbe una ragione in più per accoglierlo e dargli  protezione. Ma la Libia non assicura alcuna assistenza medica ai migranti: neanche a quelli che getta nelle sue carceri. Si preoccupa solo di disfarsene. Matura in questo contesto il rimpatrio forzato di quei 1.200 disperati. Nell’indifferenza di tutte le cancellerie occidentali, pur sapendo a quali rischi quei giovani sono esposti. E nel silenzio assordante di tutte le forze politiche. In Italia come in Europa. Colpisce in particolare, per quanto riguarda l’Italia, la posizione del Pd, anche perché tra i temi guida con cui ha inaugurato la campagna elettorale ha posto proprio quello dei diritti. Ne ha parlato lo stesso candidato premier, Pierluigi Bersani, insistendo sul diritto ad essere considerati italiani a tutti gli effetti per i ragazzi figli di immigrati nati o cresciuti in Italia. La giusta affermazione, finalmente, che la cittadinanza non si acquisisce in base al principio razzista dello jus sanguinis ma dello jus soli. Come si fa da sempre in Francia, ad esempio, dove è cittadino della repubblica chiunque vi nasca, a prescindere dalla famiglia d’origine.
Non è un tema sul quale, in seguito, lo stesso Bersani abbia insistito molto. E comunque non infiamma il dibattito politico in questi pochi giorni che mancano al voto. Però ha avuto un certo seguito, tanto che si è accodato, sia pure con argomentazioni molto più sfumate, persino Berlusconi. Su posizioni di chiusura resta solo la Lega. La stessa attenzione, però, il Pd non sembra mostrarla per quei 1.200 migranti che stanno per essere consegnati a un destino quanto meno oscuro e, più in generale, per tutti i disperati bloccati in Libia. Migliaia di giovani, uomini e donne, che hanno raggiunto il paese con la speranza di trovare un imbarco qualsiasi verso l’Europa. In particolare quelli che, sempre a migliaia, sono stati intercettati dalla polizia libica e vivono ora rinchiusi in luoghi che l’ipocrisia del governo italiano chiama centri di accoglienza ma che sono invece autentici lager. Dove non esistono diritti: solo maltrattamenti, violenze, lavoro forzato, ricatti, stupri, torture. La morte stessa. Quei giovani in gran parte sono lì grazie anche alla nostra politica sull’immigrazione. Sono lì per i respingimenti indiscriminati in mare adottati negli ultimi anni e per l’ostinazione a non voler ascoltare il loro grido d’aiuto. Sono lì perché l’Italia ha affidato alla Libia il compito di gendarme del Mediterraneo, per eliminare o quanto meno contenere i flussi di emigrazione dal Nord Africa verso le nostre coste. Sono lì, in definitiva, grazie al famigerato accordo bilaterale siglato da Berlusconi e Gheddafi, sponsor in particolare l’allora ministro dell’interno Roberto Maroni.
Ma di tutto questo il Pd non sembra ricordarsi. Forse perché ha molto da farsi perdonare in questa vicenda, a cominciare dal voto favorevole, in Parlamento, a quell’accordo a due Italia-Libia. L’ufficio esteri del partito pare avesse espresso forti perplessità e lo stesso gruppo alla Camera era in buona parte orientato per il no, ma sarebbero intervenute forti pressioni di vertice ad allinearsi alla volontà del Governo. E, alla fine, tutti si sono piegati. Sulla pelle di migliaia di giovani in fuga da fame, persecuzioni e guerre. Si sarebbe potuto correggere il tiro con Monti, il nuovo premier. Tanto più che giusto un anno fa, proprio per i respingimenti verso la Libia, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea per i diritti umani. Invece no. Monti ha rinnovato il patto generale di amicizia con il nuovo governo libico e all’inizio dello scorso aprile, ben dopo la sentenza di condanna da parte dell’Europa, il ministro degli interni Anna Maria Cancellieri ha firmato con il suo omologo di Tripoli una intesa sull’emigrazione che ricalca quasi passo per passo quella voluta da Maroni. Un’intesa semisegreta. In Parlamento non se ne è discusso. A svelarne il contenuto è stata Amnesty International, con una vasta campagna che si è conclusa con la presentazione al ministro Cancellieri di una petizione europea, densa di decine di migliaia di firme, per chiedere la revoca degli accordi bilaterali. Il Pd è rimasto in silenzio. Anzi, da notizie riservate filtrate dal suo stesso ufficio esteri, è emerso che sarebbe stata stoppata una interrogazione al ministro Cancellieri per chiedere conto del suo operato. Anche in relazione alle ripetute denunce presentate da varie organizzazioni internazionali sulle violenze e i soprusi nei confronti dei migranti da parte della polizia libica e sulle condizioni inumane di vita nei 22 campi di detenzione che Tripoli ha riservato agli stranieri sorpresi nel suo territorio.
Non basta. Un’ottima occasione per discutere finalmente di questi temi si è avuta quando in dicembre, all’indomani delle primarie, Pierluigi Bersani si è recato in visita ufficiale in Libia, quasi in veste di futuro premier. E, invece, non se ne ha fatto cenno. Tante parole sull’importanza dei rapporti politici ed economici tra l’Italia e il governo del dopo Gheddafi, ma non un fiato sul rispetto dei diritti umani dei profughi e dei migranti come condizione preliminare per ogni tipo di collaborazione. Facendo finta di dimenticare che Tripoli non ha mai firmato la convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati. Eppure l’Unione Europea, attraverso le commissioni per i diritti umani e per gli affari interni, appena due mesi prima aveva acquisito un dossier sulla situazione spaventosa a cui in Libia sono condannati gli immigrati e i richiedenti asilo: una denuncia inequivocabile sulle condizioni delle carceri presentata da don Mussie Zerai, convocato in audizione ufficiale a Bruxelles.

Ora si presenta un’altra emergenza. Proprio in questi giorni don Zerai ha raccolto nuove notizie per aggiornare il rapporto sulle carceri, trovando ampia conferma che la situazione continua a peggiorare. E, soprattutto è esploso il caso dei 1.200 rifugiati e migranti che rischiano la deportazione forzata. Anche quest’ultima emergenza è stata segnalata alla segreteria nazionale del Pd, attraverso alcuni candidati al Senato e alla Camera. Ma non ci sono state reazioni. Secondo voci confidenziali uscite dall’ufficio esteri, la giustificazione sarebbe che “questa fase di transizione e di elezioni non consente di fare molto”. “Le Camere sono chiuse e si riuniranno il 15 marzo – è la risposta ufficiosa – La situazione che si prospetta fa ragionevolmente pensare a lunghe consultazioni per la formazione del Governo, il quale sarà attivo non prima di metà aprile. E’ il Governo che può fare effettivamente qualcosa”.
Insomma, tutti zitti “per colpa” delle elezioni. In realtà proprio le elezioni potrebbero essere l’occasione per portare in primo piano questa emergenza, facendone uno dei temi del dibattito politico. Con l’impegno di porla tra le priorità della prossima legislatura e, nell’immediato, di fare pressione sul ministero degli esteri perché chieda conto a Tripoli della situazione nelle carceri e del rimpatrio forzato di quei 1.200 e più migranti. Senza contare un’azione a livello europeo, con i parlamentari di Strasburgo e il consiglio di Bruxelles. E invece no. Si continua a tacere. Eppure, battersi per i diritti di quei profughi schiavi in Libia e pretendere il diritto di cittadinanza per i ragazzi nati in Italia da coppie straniere sono due capitoli della stessa battaglia. Così come combattere per i diritti del lavoro e della salute, degli operai Fiom discriminati dalla Fiat e dei malati lasciati senza assistenza. Dei gay e dei disabili, delle donne emarginate e dei giovani ai quali è stato rubato il futuro, della scuola e dei servizi sociali. Se si lascia fuori anche uno solo di questi punti si mette in discussione tutto. E ne nasce il sospetto che si parli di diritti solo strumentalmente. Con gli occhi offuscati dalla prospettiva di guadagnare o perdere qualche manciata di voti.

sabato 9 febbraio 2013

Continuer à la chasse africaine en Libye!



Ne s'arrête pas à la fureur des Libyens contre les Africains en provenance de l'Afrique subsaharienne. A Tripoli, dans le Sélim Abou, armé râteau gangs de la région à la recherche des réfugiés. Ils sont obligés de se barricader chez eux, peur de sortir, juste pour acheter du pain. Ceux trouvés dans la rue, non seulement est battu et battu, dépouillé de ses biens rares, mais est susceptible d'être expulsé vers Sebha, centre de détention terribles dans le sud de la Libye.
Les autorités compétentes de fermer les yeux sur ces attaques constantes de évident raciale et / ou religieuse.
Nous lançons un appel aux autorités libyennes: STOP THIS CHASSE l'Afrique! Nous demandons que les droits civils et humains des réfugiés soient respectés.

Lancement d'un nouvel appel à l'UE pour vous d'intervenir auprès du gouvernement de la Libye pour protéger les droits de ces personnes, les droits qui sont fortement violés dans ces heures dans la capitale libyenne.
Ce sont des hommes, et pourtant ils sont donnés la chasse comme des bêtes!
Ces derniers jours, des centaines de personnes déplacées dans le sud de la Libye, les gens qui ont besoin d'aide et d'assistance.

Abbé Mussie Zerai

Continua la Caccia all'Africano in Libia !



Non cessa l'accanimento dei libici nei confronti degli Africani provenienti dall'area Sub-Sahariana. A Tripoli, nella zona Abu Selim, bande armate rastrellano la zona in cerca di profughi. Questi sono costretti di barricarsi nelle loro case, hanno paura di uscire, anche solo per comprare il pane. Chi viene trovato per strada, non solo viene picchiato e malmenato, derubato dei suoi pochi averi, ma rischia di essere deportato a Sebha, terribile centro di detenzione nel Sud della Libia.
Le autorità competenti chiudono gli occhi di fronte a queste continue aggressioni di evidente sfondo razziale e/o religioso.
Lanciamo un accorato appello alle Autorità Libiche : FERMATE QUESTA CACCIA ALL'AFRICANO ! Chiediamo che i diritti umani e civili dei profughi vengano rispettati.

Lanciamo un ulteriore appello all'UE affinchè intervenga presso il Governo della Libia per tutelare i diritti di queste persone, diritti che vengono fortemente violate in queste ore nella capitale libica.
Sono uomini, eppure a loro viene data la caccia come a delle bestie !
Negli ultimi giorni sono centinaia le persone deportate nel Sud della Libia, persone che avrebbero bisogno di assistenza ed aiuto.

don Mosè Zerai

Continue to African Hunting in Libya!



Does not stop the fury of the Libyans against the Africans coming from Sub-Saharan Africa. In Tripoli, in the Abu Selim, armed gangs rake the area in search of refugees. They are forced to barricade themselves in their homes, afraid to go out, just to buy bread. Those found on the street, not only is beaten and beaten, robbed of his few possessions, but is likely to be deported to Sebha, terrible detention center in southern Libya.
The competent authorities close their eyes to these constant attacks of obvious racial and / or religious.
We appeal to the Libyan authorities: STOP THIS HUNTING the African! We ask that the human and civil rights of refugees are respected.

Launch a further appeal to the EU for you to intervene with the Government of Libya to protect the rights of these people, rights that are strongly violated in these hours in the Libyan capital.
They are men, and yet they are given the hunt as beasts!
In recent days, hundreds of people displaced in the south of Libya, people who need assistance and aid.

Fr. Mussie Zerai