martedì 9 settembre 2014

Europa: vita difficile per chi cerca protezione

Bruxelles, 9 settembre 2014. Accesso limitato al territorio EU, richiedenti asilo che finiscono in centri di detenzione in alcuni paesi, e accoglienza spesso inadeguata per capacità e condizioni: questi alcuni degli aspetti messi in luce dalla ricerca presentata oggi dal Consiglio Europeo sui Rifugiati e gli Esuli (ECRE), che illustra il persistente divario tra la teoria del Sistema Comune d’Asilo Europeo (CEAS) e la stridente realtà che affrontano i richiedenti asilo nei 15 Stati Membri dell’Unione Europea analizzati dal rapporto (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Germania, Francia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Malta, Olanda, Polonia, Svezia e Regno Unito).

Mentre alle porte dell’Europa si moltiplicano i conflitti, chi cerca protezione spesso trova la morte in viaggi  sempre più rischiosi per raggiungere L’Europa.
“Creare più ostacoli ai rifugiati per raggiungere il territorio UE è di solo beneficio per i trafficanti. E’ assurdo che i rifugiati siano costretti a pagare migliaia di euro per raggiungere l’Europa a causa delle politiche restrittive dei visti, di sanzioni e controlli ai confini che impediscono loro di viaggiare legalmente. Se sopravvivono al viaggio e mettono piede sul suolo europeo, allora per molti di loro, come i siriani e gli eritrei, verrà garantito asilo e possibilità di ricostruire le proprie vite in Europa. Per quanto tempo ancora le politiche europee e la  non-volontà di creare canali di accesso protetto e legale per i rifugiati all’UE obbligheranno le persone a mettere in pericolo le loro vite e arricchiranno i trafficanti?”, dichiara Michael Diedring, Segretario Generale dell’ECRE, al lancio del rapporto “Mind the gap: una prospettiva delle ONG sulle sfide dell’Accesso alla Protezione nel Sistema Comune d’Asilo”.

Quest’anno sono morte o disperse nel mar Mediterraneo oltre 2.000 persone, nonostante gli sforzi dell’operazione “Mare Nostrum” che ne ha salvate oltre 100.000.
“Concordiamo sul fatto che il soccorso in mare nel canale di Sicilia debba essere considerato una responsabilità europea e che gli sforzi italiani nell’operazione “Mare Nostrum” debbano essere supportati dagli altri Stati Membri e dalla stessa Commissione Europea. “Frontex Plus”, per il momento, non sembra andare in questa direzione. Piuttosto punta al rafforzamento dei controlli e della sorveglianza”, sottolinea Christopher Hein, Direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati

Quei richiedenti asilo che riescono ad arrivare in Europa continuano a dover affrontare ulteriori ostacoli: la detenzione amministrativa durante l’esame della domanda e l’accesso all’accoglienza.
In Ungheria il 26% di tutti i richiedenti asilo e quasi la metà (42%) degli uomini singoli sono detenuti (aprile 2014), anche i minori non accompagnati sono trattenuti insieme agli adulti per lunghi periodi, nonostante la legge lo vieti. A Cipro, dove la detenzione riguarda un numero minore di casi, le condizioni sono simili a quelle di una vera e propria prigione: le persone sono detenute in celle sotto uno stretto sistema di sorveglianza, possono trascorrere in luoghi comuni solo poche ore al giorno e vengono ammanettate per trasferimenti all’interno o fuori del centro. Mentre in alcuni paesi, come il Belgio e l’Olanda, le famiglie di richiedenti asilo con bambini non vengono più detenute alle frontiere, lo sono invece in paesi quali Malta, Grecia eBulgaria. In Italia, non è prevista detenzione per richiedenti asilo, che hanno invece libertà di entrare ed uscire dai centri d’accoglienza e di muoversi sul territorio. 
In Francia, nel 2013, un richiedente asilo vulnerabile aspettava in media 12 mesi per ottenere un posto in accoglienza. Al 31 Dicembre 2013, la lista prioritaria per le persone vulnerabili in attesa d’accoglienza contava 15.000 persone.
Senza accesso all’accoglienza, i richiedenti asilo, che per legge non possono lavorare, sono obbligati a cavarsela come possono per guadagnarsi da vivere.

In Italia, nel 2014 sono state presentate oltre 36.000 domande d’asilo, un numero, da un lato, elevato rispetto al totale delle richieste ricevute nell’intero anno precedente (27.930), dall’altro notevolmente basso comparato con le 106.000 persone arrivate via mare dall’inizio dell’anno fino ad agosto 2014. La maggioranza delle persone sbarcate è composta da famiglie e bambini. Durante i primi sette mesi di quest’anno sono arrivati in Italia 17.700 bambini, di cui approssimativamente 9.700, perlopiù eritrei, sono minori non accompagnati.
L’arrivo di decine di migliaia di persone via mare, rappresenta un’enorme sfida operativa e umanitaria per l’Italia, che ha  fin qui aumentato il numero dei posti in accoglienza e adibito nuove strutture temporanee. Come risultato, attualmente sono ospitate circa 60.000 persone. Tuttavia, gli standard ricettivi italiani non sono omogenei sul territorio e i centri d’accoglienza sono pressoché al collasso. Il sud Italia sta ospitando circa il 55% dei richiedenti asilo, solo la regione Sicilia più del 25%. La deficienza del sistema ricettivo italiano, tuttavia, colpisce maggiormente le persone alle quali è stata già riconosciuta una forma di protezione rispetto a quelle appena arrivate. I rifugiati che non riescono ad accedere al sistema d’accoglienza, si ritrovano di fatto senza alcun supporto e molti cercano di raggiungere altri Paesi europei alla ricerca di migliori condizioni di vita e prospettive di integrazione.
  
Ulteriori informazioni:
-          Con il perpetrarsi delle violenze in Medio Oriente e in Africa che costringono le persone a fuggire dalle proprie case, il numero di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni nel mondo, nel 2013 ha superato 50 milioni di persone , il dato più alto dalla Seconda Guerra Mondiale. Mentre il numero di richiedenti asilo aumenta negli Stati Membri, raggiungendo 435.000 richieste nel 2013, i 28 Stati Membri UE ricevono comunque meno della metà del numero dei rifugiati che sono al momento ospitati nel solo Libano, un paese di soli 4 milioni di abitanti.
-          “Mind the gap: una prospettiva delle ONG sulle sfide dell’Accesso alla Protezione nel Sistema Comune d’Asilo” è pubblicato nell’ambito del progetto AIDA (Asylum Information Database) www.asylumineurope.org. Il database on-line contiene informazioni dettagliate sulla procedura d’asilo, le condizioni d’accoglienza e di detenzione per i richiedenti asilo, raccolte nei 15 rapporti nazionali prodotti dalle organizzazioni coinvolte nel progetto. Il Consiglio Italiano per i Rifugiati ha curato il rapporto nazionale per l’Italia.
 
 

lunedì 1 settembre 2014

GIUSTIZIA PER I NUOVI DESAPARECIDOS



È una tragica routine che si ripete ormai da anni. Immagini di barconi pieni di persone stipate in condizioni disumane, naufragi, morte e disperazione. Per chi riesce ad arrivare sulle coste italiane c’è solo la detenzione in campi di ogni sorta, la difficoltà nell’accedere al diritto all'asilo e lo stato di abbandono in cui di fatto si ritrovano quei profughi che hanno ottenuto una qualche forma di protezione internazionale. È una triste sequela di fronte alla quale si rischia l'assuefazione, il facile ricorso a capri espiatori, o a scorciatoie securitarie. Dietro quelle notizie, quei nomi, quei numeri ci sono bambini, donne, uomini con la loro dignità e i loro diritti umani inalienabili. Dignità e diritti che sono loro sottratti quando diventano oggetto di diatriba politica, carne da macello per campagne elettorali, immagini sbiadite di un video che li ritrae abbracciati in fondo al mare. Dinanzi al dolore degli altri dobbiamo prendere posizione. I morti di oggi sono un anello della lunghissima catena segnata ai suoi inizi, per quanto ci riguarda direttamente, dallo speronamento di un barcone pieno di albanesi da parte di una nave della nostra Marina Militare nel 1997.

Sono, queste morti, gli effetti collaterali di un contesto mondiale in cui l’accaparramento delle risorse della terra da parte di una esigua minoranza della popolazione mondiale produce nel resto del pianeta miseria, disastri ecologici, guerre, proliferazione nucleare e degli armamenti.

La migrazione dei tanti che da mille rotte arrivano alle sponde del Mediterraneo ne è conseguenza diretta.
Ma quei tanti sono una parte, soltanto, dei tantissimi costretti a lasciare i loro paesi e però ostacolati da politiche europee e dalla proliferazione di accordi con governi non sempre democratici della sponda sud. Altri ancora verranno decimati dai respingimenti o semplicemente lasciati in mare a morire di fame e di sete, perché questo è quanto ciclicamente avviene: impossibile credere che non vengano segnalati da satelliti, navi, elicotteri e aerei che continuamente solcano, sorvolano e controllano il Mediterraneo e il deserto del Sahara, anche nell’ambito d’azione di Frontex. La stessa operazione Mare Nostrum, pur garantendo il soccorso a migliaia di persone, denuncia limiti evidenti: spesso comincia proprio da qui il percorso che condanna rifugiati e migranti alla invisibilità e alla sparizione.

Sono ormai decine e decine di migliaia le vittime di questa spirale perversa di violenza di fronte alla quale non basta più l'indignazione, né gli strumenti messi a disposizione dal diritto hanno finora permesso di rendere verità e giustizia alle loro famiglie, identificando e sanzionando le responsabilità dei singoli, dei governi e delle istituzioni. È l'esistenza di una visione politica propria degli Stati, dell’Europa e della NATO, che condanna alla sparizione i tanti che attraversano il deserto e il Mediterraneo. È difficile ormai nasconderselo: questa frontiera è una grande muraglia che contiene ma allo stesso tempo filtra la mobilità umana, violando così i diritti fondamentali e producendo gerarchie e sfruttamento. Insomma il Mediterraneo è il buco nero di un'Europa che non sa o non vuole essere solidale, presa dall'ossessione del controllo delle sue frontiere e attraversata da rigurgiti nazionalisti, xenofobi e razzisti.

Ossessione securitaria e razzismo sono due facce della stessa medaglia e vanno sconfitte attraverso gli strumenti del diritto e della politica. Noi, attivisti, rappresentanti di associazioni di migranti, famiglie dei nuovi desaparecidos, giuristi ed esponenti della società civile riteniamo intollerabile tutto ciò. Per questo ci rivolgiamo ai governi, all'Unione Europea, agli organismi internazionali, ai movimenti, alle organizzazioni non-governative e a tutti coloro che hanno a cuore la dignità e i diritti delle persone. Lo facciamo all'apertura del semestre italiano di Presidenza dell'Unione Europea perché crediamo che il rispetto e la tutela dei diritti umani, che dovrebbero essere il fondamento del progetto europeo, debbano essere costantemente riaffermati e difesi.

Le responsabilità vanno chiarite. A tal fine proponiamo la convocazione di un tribunale internazionale di opinione, sulla scia del Tribunale Russell e del Tribunale Permanente dei Popoli, che offra alle famiglie dei migranti scomparsi un'opportunità di testimonianza e rappresentanza; contribuisca ad accertare le responsabilità e le omissioni di individui, governi e organismi internazionali; e fornisca uno strumento per l’avvio delle azioni avanti agli organi giurisdizionali nazionali, comunitari, europei e internazionali. Vogliamo ricostruire la verità, sanzionare i responsabili e rendere giustizia a vittime e famigliari.

Rivendichiamo il diritto ad essere informati sul contenuto degli accordi stipulati dagli Stati europei in materia di controllo delle frontiere dei paesi attraversati dalle persone dirette verso l’Unione europea; sulle forme di cooperazione militare e di polizia instaurate tra gli Stati europei e i paesi di origine e transito dei migranti; sulle regole di ingaggio delle forze impiegate nell’attività di “contrasto all’immigrazione clandestina”; sui comportamenti effettivamente tenuti da queste forze in occasione delle tragedie avvenute lungo i percorsi dei migranti; sui campi di contenimento e detenzione dislocati nei paesi di passaggio.

Dobbiamo interrompere il ciclo di disinformazione che si fa indifferenza e impotenza. Occorre mettere insieme una molteplicità di attori ascoltando, in primo luogo, la voce dei diretti interessati, gli esuli e i migranti, le vittime e i testimoni.

Chiediamo che l'Unione Europea adotti tutti gli strumenti necessari per arrestare questo massacro, prevedendo una politica comune di asilo e accoglienza, l’apertura di canali umanitari, laddove sussistano situazioni di conflitto o gravi violazioni del diritto, essenziali per sottrarre le migliaia di migranti all’arbitrio e allo sfruttamento da parte di trafficanti di esseri umani.

Chiediamo all'Unione Europea, al Parlamento Europeo e agli Stati Membri l’istituzione di commissioni d’inchiesta sui nuovi “desaparecidos”, la ratifica della Convenzione ONU sui Diritti dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie e l'abolizione della cosiddetta direttiva rimpatri del 2008, detta “della vergogna” per il suo contenuto fortemente repressivo.

Chiediamo che le istituzioni si impegnino a garantire con tutti gli strumenti disponibili il riconoscimento dell’identità delle vittime e offrano ai loro famigliari un luogo di raccoglimento e cordoglio che restituisca dignità alle persone scomparse.


3 agosto 2014                                                        Il Comitato “Giustizia per i nuovi desaparecidos”


Primi firmatari
Julio Algañaraz; Cristina Ali Farah; Andrea Amato; Mario Angelelli; Carla Romana Antolini; Massimo Aprile; Angiolina Arru; Fatima Azaoui; Maria Baggetta; Gabriel Baravalle; Clotilde Barbarulli; Daniele Barbieri; Nicoletta Bardi; Jonis Bascir; Piero Basso; Francesca Bellino; Giovanni Maria Bellu; Rino Bianchi; Maria Luisa Boccia; Barbara Bonomi Romagnoli; Liana Borghi; Clarissa Botsford; Paolo Buffoni; Silvia Buzzelli; Alfonso Cacciatore; Rosario Josefina Cáceres; Diana Caggiano; Enrico Calamai; Don Marco Campedelli; Martina Campi; Antonella Cancellier; Silvia Canciani; Elisabetta Canevini; Claudia Cerri; Isabelle Chabot; Luisa Ciffolilli; Angiola Codacci Pisanelli; Tullia Colombo; Carmen Cordaro; Letizia Cottafavi; Donatella D’Amico; Nicola d’Amore; Linda D’ancona; Pier Virgilio Dastoli; Claudio De Fiores; Rosario De Zelo; Angelo Delogu; Sergio De Nadai; Manuela Derosas; Pape Diaw; José Luis Dicenta; Hevi Dilara; Cecilia Domijan; Emilio Drudi; Udo Enwereuzor; Meron Estefanos; Susanna Fantino; Giuseppe Faso; Gianni Ferrara; Flavia Ferreri; Mariella Fino; Simonetta Focaccia; Francisca Frias; Mercedes Frias; Ippolita Gaetani; Sancia Gaetani; Stefano Galieni; Mariana Gallo; Nicoletta Gandus; Gianluca Gatta; Tommaso Giartosio; Betty Gilmore; Annabella Gioia; Bianca Giovannini; Claudio Grimandi; Gabriella Guido; Ahmed Hafiene; Maria Rosa Jijon;; Rachid Khay; Franca Langatta; Carlo M. Lariccia; Alessandro Leogrande; Fiorella Leone; Monica Luchi; Maria Immacolata Macioti; Anna Maffei; Safia Mahmoud; Giovanna Majno; Andrea Maloni; Ainom Maricos; Susanna Marietti; Marina Martignone; Francesco Martone; Raffaella Mascarino; Maria Massimo Lancellotti; Marcello Mastrangeli; Giorgio Mazzanti; Roberta Mazzanti; Gianfranco Mazzeo; Karim Metref; Cristina Mihura; Marzia Minutillo Turtur; Filippo Miraglia; Francesca Moccagatta; Zahra Omar Mohamed; Luisa Morgantini; Maria Mosca; Arnoldo Mosca Mondadori; Giuseppe Mosconi; Aurela Mrruku; Flore Murard-Yovanovitch; Maria Elena Murcia; Samanta Musaro; Grazia Naletto; Pasqualina Napoletano; Marisa Nicchi; Chiara Nielsen; Selena Nobile; Gabriele Noferi; Federico Oliveri; Mariella Pala; Mauro Palma; Giovanni Palombarini; Edda Pando; Franca Parizzi; Alfredo Passeri; Isabella Peretti; Daniele Petruccioli; Darìo Pignotti Garcia; Claudio Pipitone; Antonella Pompei; Alessandro Portelli; Sara Prestianni; Michele Prosperi; Enrico Pugliese; Pilar Reuque; Annamaria Rivera; Lucy Rojas; Emilio Rossi; Dora Salas; Arturo Salerni; Eric Salerno; Giuseppe Salmè; Federico Sartori; Abdul Scego; Suban Igiaba Scego; Ribka Sebhatu; Gaspar Segafredo; Luigia Sforza; Giuliana Sgrena; Piero Soldini; Carla Stabielli; Domenico Stimolo; Lorenzo Teodonio; Anna Luisa Terzi; Alessandro Triulzi; Giuliano Turone; Nani Twardy; Gabriel Tzeggai; Fulvio Vassallo Paleologo; Hernan Varela; Augusto G Vegezzi; Horacio Verbitsky; Pietro Veronese; Cristiana Virgili; Vera Vigevani Jarak; Tsegehans Weldeslassie; Dagmawi Yimer; Vera Zeni De Santis; Don Mussie Zerai; Luca Zevi; Carolina Zincone,  AMM - Archivio delle memorie migranti; ASGI; Associazione Asinitas Onlus; Associazione Per I Diritti Umani; Be free; Circolo Arci Thomas Sankara; Compagnia Africana; Giuristi Democratici; Human Rights Concern – Eritrea; Il cammino della musica; In Migrazione Onlus; Movimento degli Africani, Riprendiamo la Parola, Progetto Diritti.



Per adesioni nuovidesaparecidos@gmail.com

22nd Special Session of the Human Rights Council Geneva, 1 September 2014


Statement by H.E. Archbishop Silvano M. Tomasi, Permanent Representative of the Holy See
to the United Nations and Other International Organizations in Geneva
at the 22nd Special Session of the Human Rights Council
Geneva, 1 September 2014
Mr. President,
1.  In several regions of the world there are centers of violence – Northern Iraq in particular – that challenge the local and international communities to renew their efforts in the pursuit of peace. Even prior to considerations of international humanitarian law and the law of war, and no matter the circumstances, an indispensable requirement is respect for the inviolable dignity of the human person, which is the foundation of all human rights. The tragic failure to uphold such basic rights is evident in the self-proclaimed destructive entity, the so-called “Islamic State” group (ISIS). People are decapitated as they stand for their belief; women are violated without mercy and sold like slaves on the market; children are forced into combat; prisoners are slaughtered against all juridical provisions.
2.  The responsibility of international protection, especially when a government is not able to ensure the safety of the victims, surely applies in this case, and concrete steps need to be taken with urgency and resolve in order to stop the unjust aggressor, to reestablish a just peace and to protect all vulnerable groups of society. Adequate steps must be taken to achieve these goals.
3.  All regional and international actors must explicitly condemn the brutal, barbaric and uncivilized behavior of the criminal groups fighting in Eastern Syria and Northern Iraq.
4.  The responsibility to protect has to be assumed in good faith, within the framework of international law and humanitarian law. Civil society in general, and religious and ethnic communities in particular, should not become an instrument of regional and international geopolitical games. Nor should they be viewed as an “object of indifference” because of their religious identity or because other players consider them to be a “negligible quantity”. Protection, if not effective, is not protection.
5.  The appropriate United Nations agencies, in collaboration with local authorities, must provide adequate humanitarian aid, food, water, medicines, and shelter, to those who are fleeing violence. This aid, however, should be a temporary emergency assistance. The forcibly displaced Christians, Yazidis and other groups have the right to return to their homes, receive assistance for the rebuilding of their houses and places of worship, and live in safety.
6.  Blocking the flow of arms and the underground oil market, as well as any indirect political support, of the so-called “Islamic State” group, will help put an end to the violence.
7.  The perpetrators of these crimes against humanity must be pursued with determination. They must not be allowed to act with impunity, thereby risking the repetition of the atrocities that have been committed by the so-called “Islamic State” group.
Mr. President,

8.  As Pope Francis stressed in his letter to Secretary-General, Ban Ki-moon: “the violent attacks…cannot but awaken the consciences of all men and women of goodwill to concrete acts of solidarity by protecting those affected or threatened by violence and assuring the necessary and urgent assistance for the many displaced people as well as their safe return to their cities and their homes.” What is happening today in Iraq has happened in the past and could happen tomorrow in other places. Experience teaches us that an insufficient response, or even worse, total inaction, often results in further escalation of violence. Failing to protect all Iraqi citizens, allowing them to be innocent victims of these criminals in an atmosphere of empty words, amounting to a global silence, will have tragic consequences for Iraq, for its neighboring countries and for the rest of the world. It will also be a serious blow to the credibility of those groups and individuals who strive to uphold human rights and humanitarian law. In particular, the leaders of the different religions bear a special responsibility to make it clear that no religion can justify these morally reprehensible and cruel and barbaric crimes, and to remind everyone that as one human family, we are our brothers’ keepers.