domenica 3 maggio 2015

Ecco la vita dei richiedenti asilo a Parigi


 La Francia il suo sistema di accoglienza disorganizzato 



Vivono nell’indifferenza generale tra i fetori degli escrementi ed il rumore del traffico della auto. Sono oltre 150 i migranti attualmente accampati all’uscita della stazione del metrò la Chapelle di Parigi. Usciti dalla stazione ci si crederebbe in un campeggio: decine e decine di tende verdi o blu sono ordinatamente sistemate sullo spartitraffico sotto al passaggio rialzato dei binari del metrò. La Chapelle è vicinissima alla Gare du nord, la più grande stazione ferroviaria d’Europa, in una zona densamente abitata da nordafricani, bengalesi e pakistani da dove è possibile trovare facilmente un passaggio per Calais, la Germania o la Scandinavia. Foad, un trentenne sudanese molto provato dal lungo viaggio fino in Europa, è qui da due mesi: “Vorrei andare in Inghilterra perché so l’inglese. Invece sono costretto a rimanere qui, dove non capisco la lingua, non conosco nessuno, dormo in tenda e passo le giornate sperando di trovare un passaggio per Calais”. Insieme a lui ci sono soprattutto etiopi, eritrei, sudanesi e perfino qualche slovacco. 

“Fino all’anno scorso erano poche decine di uomini a vivere qui” dice suor MarieJo, da sette anni impegnata ad aiutare quanti vivono in quella che è a tutti gli effetti una baraccopoli nel cuore di Parigi. La parrocchia di San Bernard, nota per essere stata occupata nel 1996 da centinaia di migranti che rivendicavano più diritti, è da allora in prima linea per aiutare questa gente con una colazione il sabato e la domenica mattina, un punto d’ascolto il giovedì pomeriggio, un vestiario e l’accoglienza di una decina di richiedenti asilo nei propri locali durante i mesi più freddi. Miguel viene dal Marocco. La sua famiglia vive in Spagna. Ha deciso di partire per la Germania perché ha perso il lavoro e deve sostenere sua moglie e i suoi tre figli. É stanco e passa la maggior parte del tempo a bere e fumare. Fino a poche settimane fa c’erano quasi esclusivamente degli uomini. 

Ultimamente arrivano intere famiglie. Donne e bambini di pochi mesi passano giorno e notte in quest’ambiente malsano. Alcuni di loro sono sprovvisti di tende e sacchi a pelo. C’è chi è di passaggio in attesa di continuare il viaggio verso nord. Altri come Almanas, etiope quarantenne che parla perfettamente l’italiano, ci vivono stabilmente da vari mesi. Il sistema d’accoglienza dei senzatetto della regione è saturo. Alcuni di loro contattano quotidianamente il servizio al 115 ma la risposta è quasi sempre la stessa: la mettiamo in lista d’attesa e le facciamo sapere. 

Malgrado l’indifferenza generale dei molti che passano affianco a questa tendopoli anche più volte al giorno per prendere la metro, ci sono associazioni e privati cittadini che quando possono portano cibo, vestiti, tende o coperte. Pedro si aggira tra le tende dall’inizio del pomeriggio ossessionato dal fatto che una famiglia di etiopi con tre bambini piccoli rischia di dormire senza un riparo anche stanotte. Non ha più tende da offrire. Porta altre coperte e sacchi a pelo. Quando deve andare a causa di un appuntamento gli sembra di non aver fatto abbastanza: l’impotenza di chi fa quotidianamente e sa benissimo quanto andrebbe fatto. Il comune di Parigi per il momento ha commissionato un’inchiesta per fare il quadro della situazione e ha installato due bagni chimici. 

France terre d’asile ed Emmaus seguono la maggior parte delle procedure d’asilo dei residenti a la Chapelle. Il Secours Islamique porta un abbondante pasto caldo per la cena tre volte a settimana. Gli altri giorni bisogna confidare nella generosità dei ristoratori e della gente locale. Dall’ultimo sgombero di cinque anni fa le autorità tollerano questa situazione senza cercare una soluzione al problema. La tensione è alta. Molti di loro cercano una consolazione nell’alcol. A volte scoppiano risse per futili motivi ma che si alimentano subito coi conflitti africani da cui fuggono. A Parigi per vedere la guerra basta prendere la metro.

Marino Ficco 

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