lunedì 14 novembre 2016

Situazioni a rischio: Appello alla comunità internazionale


L’Europa continuana a costruire “barriere” giuridico legali o politiche nei confronti dei profughi: trattati per il controllo dell’immigrazione e i rimpatri forzati con vari Stati africani e del Medio Oriente; accordi bilaterali tra Stati o addirittura tra polizie (come nel recente caso del Sudan) per attuare in concreto quei trattati; misure sempre più restrittive per la concessione dell’asilo o di altre forme di protezione internazionale; respingimenti di massa; procedure di identificazione sommarie negli hotspot come anticamera di “riconsegna” agli Stati di provenienza o di transito; “pratiche” sempre più lente e incerte per i ricongiungimenti familiari e ostacoli frapposti da varie ambasciate anche quando le richieste sono state accolte dal Ministero dell’Interno; mancanza pressoché totale di corridoi umanitari anche in situazioni di grave pericolo.
Questa politica – come già denunciato in varie occasioni – “produce” di continuo nuove situazioni ad alto rischio o conferma e aggrava quelle già segnalate in passato e mai risolte. Di seguito la descrizione sommaria di alcuni di questi casi, che sottoponiamo all’attenzione dell’Unhcr, chiedendo di fare tutto quanto è possibile per trovare una soluzione, d’intesa con Bruxelles e le cancellerie degli Stati Ue ma anche con i Governi dei paesi africani interessati.


– Sud Sudan
E’ l’ultimo allarme pervenuto all’agenzia Habeshia, frutto del forte aggravamento di una situazione già denunciata. Nel centro accoglienza di Mba Kandu, posto sotto le insegne dell’Unhcr, nel comprensorio di Yambiyo, centinaia di profughi di varia nazionalità (eritrei, etiopi, somali, con numerose donne e bambini) sono in balia dei miliziani che si contendono il controllo della zona, un’area strategica vicino al confine con il Congo. Nei giorni scorsi gruppi di guerriglieri, dopo aver sopraffatto il piccolo presidio di guardia, hanno fatto irruzione nel complesso, saccheggiando tutto quello che potevano e, soprattutto, sequestrando alcune ragazze. La persona che ha chiesto aiuto ad Habeshia con un telefono cellulare ha detto di non sapere che fine abbiano fatto quelle poverette. Ogni giorno i profughi vivono nel terrore che raid analoghi possano ripetersi. Qualcuno di loro ha proposto di fuggire in massa ma non è stato e non è tuttora possibile: quei profughi non saprebbero dove andare e comunque non sono in grado di attraversare, con donne e bambini, una regione infestata di miliziani e dove infuriano i combattimenti e gli scontri a fuoco.


Occorre garantire la protezione del campo, magari con truppe Onu, oppure organizzare un canale umanitario per evacuarlo e trasferire quei profughi in un posto più sicuro, magari fuori dal Sud Sudan.
Riferimento telefonico: Agenzia Habeshia 338.4424202 – 0041.765328448

– Sudan
Dalla tarda primavera scorsa si sono moltiplicati gli arresti di profughi, soprattutto eritrei. E’ un’operazione sistematica, iniziata con vaste retate a Khartoum e nelle altre città principali e proseguita poi nella fascia settentrionale del paese, lungo le strade e le piste che conducono verso la Libia e l’Egitto, per bloccare i migranti che cercano di passare o magari si avvicinano semplicemente al confine. Centinaia, forse migliaia di persone sono state rinchiuse nei centri di detenzione oppure nelle comuni carceri criminali in attesa di essere rimpatriate contro la loro volontà. Particolarmente grave è la situazione degli eritrei, che rischiano di essere riconsegnati alla dittatura dalla quale sono scappati, con la prospettiva di “sparire” nelle prigioni del regime o anche peggio. Tutto lascia credere che questo giro di vite impresso dal presidente Omar Al Bashir al problema migranti sia legato direttamente al Processo di Khartoum e all'accordo bilaterale tra le polizie italiana e sudanese che ne è seguito, firmato a Roma il 4 agosto scorso. A occuparsi dei controlli e degli arresti sono, tra l’altro, i cosiddetti “diavoli a cavallo”, la famigerata milizia fedelissima ad Al Bashir, tristemente famosa per le violenze di ogni genere perpetrate nella martoriata regione del Darfur. C’è anzi il pesante, fondato sospetto che i fondi stanziati dalla Unione Europea in favore del Sudan, giustificati con la necessità di migliorare “la sicurezza dei confini”, siano serviti in realtà a finanziare proprio questa milizia. Si tratta, è bene ricordarlo, di milioni di euro.

Chiediamo di intervenire al più presto per avere la garanzia che tutti i profughi attualmente detenuti non vengano rimpatriati contro la loro volontà e, nello stesso tempo, di trovare il sistema per chiederne la liberazione e creare dei corridoi umanitari per trasferirli in un paese sicuro.      
Riferimento telefonico: Agenzia Habeshia 338.4424202 – 0041.765328448


 Botswana e Tanzania.
Un folto gruppo di esuli eritrei corre il rischio di essere riconsegnato ad Asmara. Sono tutti campioni dello sport, fuggiti in occasione di trasferte all’estero delle rispettive squadre impegnate in competizioni internazionali.
Botswana. Nell’agosto del 2015 dieci componenti della nazionale di calcio, dopo una partita valida per le qualificazioni della Coppa del Mondo, hanno scelto di chiedere asilo politico, rifiutandosi di rientrare in Eritrea. Da allora, in pratica, nessuno si è più preoccupato della loro tutela e del loro futuro. Ormai sono allo stremo, mentre si moltiplicano le pressioni di Asmara perché il governo beciuano ne decreti l’espulsione e il rimpatrio forzato.
  

Tanzania. Il caso riguarda tre giovani, due dei quali ex giocatori della nazionale di beach volley. E’ una vicenda simile a quella del Botswana, ma molto più grave e urgente perché le autorità della Tanzania hanno rigettato le richieste di asilo.
I tre si chiamano Tedros Berhane Tesfay; Tesfom Simon Hadgiu; Gebregziabiher Weldu Muhur e si trovano attualmente a Dar Es Salaam.
La loro prima domanda, sottoposta all’ufficio dell’Unhcr in Tanzania, risale al 20 aprile 2015, alle ore 9,30. Nei giorni successivi è arrivata la risposta negativa da parte della Tanzania. Da allora la situazione è come in sospeso: una “spada di Damocle” sul futuro e la vita stessa di questi giovani rifugiati.
Entrambi i casi sono stati già sollevati nel maggio scorso. L’appello lanciato da Habeshia non ha avuto esito. In questi ultimi sei mesi la situazione, lungi dal migliorare, si è progressivamente aggravata e le minacce di un rimpatrio forzato si sono fatte sempre più pressanti.

Chiediamo all’Unhcr di intervenire sul Governo del Botswana e della Tanzania, attraverso la sua delegazione locale o africana, per scongiurare, come intervento immediato, il rischio di espulsione e riconsegna ad Asmara. Più in generale riteniamo che occorra organizzare dei canali umanitari per trasferire questi rifugiati  in paesi più sicuro, sottraendoli al rischio crescente di rimpatrio forzato.
Riferimento telefonico per il caso della Tanzania: 00393384424202


– Gibuti.
Nelle carceri di Gibuti è rinchiuso da anni un ex pilota militare fuggito dall’Eritrea con il suo aereo da combattimento per chiedere asilo politico. Il governo di Gibuti lo ha accolto ma contro di lui è iniziata una autentica “caccia” non solo da parte di Asmara, che ne chiede la riconsegna come disertore, ma anche di Addis Abeba, che ne ha sollecitato l’estradizione accusandolo di aver partecipato a bombardamenti indiscriminati sulle città etiopiche durante la guerra combattuta tra il 1998 e il 2000. Gibuti finora ha resistito alle pressioni delle due parti, ma ha pensato bene di arrestare quel pilota, con la giustificazione che sarebbe questo “l’unico modo efficace per proteggerlo”.
Il caso è stato già sollevato da Habeshia circa cinque mesi fa, insieme a quello di 19 prigionieri di guerra eritrei catturati nel giugno del 2008 e rimasti in carcere ben oltre la pace firmata nel 2010, dopo un conflitto lunghissimo e sanguinoso. La vicenda di quei 19 prigionieri si è risolta felicemente, con la liberazione e la consegna a un paese sicuro. Non così la storia del pilota esule, che paradossalmente sta scontando da anni il carcere solo per aver inseguito il suo sogno di libertà. Le sue condizioni anche fisiche sono sempre più precarie e c’è il timore che prima o poi Gibuti ceda alle richieste o di Asmara o di Addis Abeba.


Chiediamo un visto “umanitario” verso un paese sicuro. Il caso di questo pilota ha tutte le caratteristiche, infatti, per la concessione dell’asilo o quanto meno, della “tutela sussidiaria” internazionale perché la sua sicurezza personale sarebbe messa a rischio sia nel caso di consegna all’Eritrea che all’Etiopia e, d’altra parte, non è pensabile che possa restare ancora in prigione a Gibuti come se si trattasse di un criminale e non di un rifugiato politico.
Riferimento telefonico: Agenzia Habeshia 338.4424202 – 0041.765328448


– Libia.
I controlli sono stati intensificati e sono iniziati rimpatri di massa, senza porsi problemi sulla sorte che attende i profughi nei paesi d’origine. Si susseguono le notizie di continui blocchi e arresti di rifugiati e migranti, da parte della polizia e della Guardia Costiera libiche, sia durante le “marce” di avvicinamento alle sponde del Mediterraneo, sia lungo il litorale prima dell’imbarco, sia su gommoni intercettati all’interno delle acque territoriali della Libia e costretti a invertire la rotta.
Come nel caso del Sudan, il “giro di vite” deciso da Tripoli ha cominciato a concretizzarsi in concomitanza con la progressiva attuazione del Processo di Khartoum, al quale si ispira evidentemente anche l’accordo bilaterale firmato tra Roma e Tripoli nell’agosto 2016. Il principio guida sembra essere quello di fermare comunque profughi e migranti, per impedire che possano anche solo tentare di raggiungere l’Europa, confinandoli in Libia e negli altri paesi di transito e negando loro, di fatto, la possibilità di presentare richiesta di asilo, a prescindere dalla loro storia personale o dalle “ragioni individuali” e senza curarsi del destino oscuro e dei gravi rischi ai quali vengono esposti. In sostanza, un respingimento di massa, la cui attuazione pratica viene “appaltata” a terzi. Si tratta di una scelta che appare ai limiti, se addirittura non li supera, della legislazione internazionale sui diritti umani.

Chiediamo, come misura immediata, la garanzia che nessuno dei profughi fermati, di qualsiasi nazionalità, venga rimpatriato contro la sua volontà.
Più in generale, sollecitiamo l’abolizione e il superamento di tutti gli accordi e i trattati che di fatto hanno esternalizzato i confini della Fortezza Europa, affidandone la vigilanza agli Stati africani contraenti (Processo di Rabat, Processo di Khartoum, trattati di Malta e gli accordi bilaterali conseguenti).    

Riferimento telefonico: Agenzia Habeshia 338.4424202 – 0041.765328448

giovedì 3 novembre 2016

Sud Sudan: appello per l’evacuazione di profughi da zone di guerra


Campo profughi in balia dei miliziani:
garantire la sicurezza o l’evacuazione






“Il nostro campo è in balia dei miliziani. Non si tratta più solo dei pericoli legati ai combattimenti sempre più vicini. Ora ci sono incursioni e violenze all’interno del campo stesso in cui siamo rifugiati. E’ come un incubo: ci sentiamo abbandonati da tutti…”.

E’ l’ultimo grido d’aiuto arrivato all’agenzia Habeshia dal Sud Sudan. L’hanno lanciato decine di profughi eritrei, etiopi, somali, subsahariani alloggiati nel centro accoglienza di Mba Kandu, posto sotto le insegne dell’Unhcr, l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, nel comprensorio di Yambiyo, una città con meno di 40 mila abitanti, lontana 600 chilometri da Juba, la capitale, ma al centro di una zona strategica importante e dunque molto contesa tra le truppe nuer ribelli e quelle dinka filo governative, perché passa da qui una delle principali strade che conducono al confine con il Congo, distante una quarantina di chilometri.

E’ già successo alcuni mesi fa. Già allora i profughi hanno chiesto di essere protetti o trasferiti in un luogo più sicuro, magari sotto la scorta delle truppe Onu presenti nel paese, nel timore che il campo venisse a trovarsi proprio al centro dei combattimenti. I tentativi di accordo condotti a Juba nel mese di luglio tra il presidente Salva Kiir e il capo dei ribelli, l’ex vicepresidente Riek Mashar, hanno portato a una illusoria tregua anche a Mba Kandu. Rotte le trattative  e ripresi gli scontri tra le milizie dinka e quelle nuer, però, la situazione è di nuovo precipitata rapidamente, fino all’emergenza estrema segnalata oggi.


L’episodio più grave si è verificato qualche giorno fa. “Dopo aver eliminato alcuni agenti delle forze di sicurezza – ha telefonato un profugo eritreo all’agenzia Habeshia – un gruppo di miliziani (non si sa di quale fazione: ndr) ha fatto irruzione nel campo, ha saccheggiato tutto quello che ha potuto e, prima di fuggire, ha rapito alcune ragazze. Non sappiamo dove quelle poverette siano finite. Da allora viviamo nel terrore: incursioni, violenze e sequestri analoghi possono verificarsi  in qualsiasi momento. La scorta del campo non è in grado di opporsi. I funzionari occidentali dell’Unhcr non si sono più visti da giorni: è rimasto soltanto il personale sudanese”.

Alla luce di questo appello disperato, l’agenzia Habeshia chiede

– Alla Comunità internazionale di accertare quanto sta accadendo a Mba Kandu e di garantire la sicurezza e la vita stessa dei profughi.
– All’Unhcr, responsabile campo, in particolare, di creare una rete di protezione efficiente e permanente oppure di organizzare un canale umanitario per portare in salvo prima possibile questi profughi, trovando poi il modo di attuare un programma di reinsediamento in uno Stato in grado di garantire una forma di protezione internazionale. Si tratta, infatti, in molti casi, di persone estremamente deboli e vulnerabili: uomini, donne e bambini in cerca solo di pace.
– Al segretario generale della Nazioni Unite Ban ki Moon, all’Unione Europea e alle cancellerie di tutti gli Stati Ue, di offrire la massima collaborazione possibile all’Unhcr in questa operazione e di intervenire anche presso le parti in lotta – il governo di Juba e i leader ribelli – perché rispettino l’internazionalità, la neutralità e la sicurezza di questo e di tutti gli altri campi profughi esistenti nel Sud Sudan.
  
don Mussie Zerai
presidente dell’agenzia Habeshia


Roma, 4 novembre 2016