lunedì 26 giugno 2017

Giornata Internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droghe.

Messaggio del Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale in occasione della Giornata Internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droghe.

La Giornata Internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droghe, istituita dalle Nazioni Unite, è un’occasione importante per richiamare l’attenzione delle coscienze sul fatto che le sostanze stupefacenti continuano «ad imperversare in forme e dimensioni impressionanti»[1]. E’ un fenomeno alimentato – non senza cedimenti e compromessi delle istituzioni – da «un mercato turpe che scavalca confini nazionali e continentali»[2], intrecciato con mafie e narcotraffico.
Ci troviamo oggi di fronte a uno scenario delle dipendenze profondamente mutato rispetto al recente passato[3]; la droga è divenuta un prodotto di consumo reso compatibile con la vita quotidiana, con l’attività ludica e persino con la ricerca del benessere.
Al consumo di cocaina si associa una maggiore diffusione dell’eroina, che «rappresenta ancora la percentuale maggiore (80%) delle nuove richieste di trattamento associate agli oppiacei in Europa»[4]. Inoltre, nuove sostanze psicoattive intossicanti - disponibili, a basso costo e in forma anonima, sul mercato via Internet - si insinuano anche nei luoghi di detenzione e mobilitano nell’attività di spaccio molte persone reclutate dalle periferie del disagio dove trovano altresì nuovi consumatori.
Il primato del consumo appartiene però alla cannabis, sulla quale è in corso un acceso dibattito a livello internazionale che tende a tralasciare il giudizio etico sulla sostanza, di per sé negativo come per ogni altra droga[5], ai possibili usi terapeutici, un terreno sul quale si è in attesa di dati scientifici avvalorati da periodi di monitoraggio, come deve avvenire per ogni sperimentazione degna di pubblica considerazione.
Prima ancora di sentenziare su questi temi a partire da pregiudizi di varia natura andrebbero meglio comprese le tendenze nell’uso della cannabis, i danni correlati e le conseguenze delle politiche di regolamentazione nei vari Paesi, che spingono il mercato illegale a sviluppare prodotti destinati a incidere sui modelli di consumo e a ribadire il primato del desiderio che si soddisfa compulsivamente con la sostanza.
Anche il gioco patologico o ludopatia costituisce da qualche tempo una piaga dilagante che diversifica ulteriormente le dipendenze. La legalizzazione del gioco d’azzardo, anche quando viene sostenuta con l’intento di smascherarne la gestione criminale, incrementa in modo esponenziale il numero dei giocatori patologici; inoltre, la tassazione riscossa dallo Stato è da considerarsi incompatibile sul piano etico e contraddittoria sul terreno della prevenzione. La definizione di modelli di intervento e di adeguati sistemi di monitoraggio, associata alla dotazione di fondi, è oltremodo auspicabile per fronteggiare il fenomeno.
Mentre il panorama delle dipendenze si diversifica, l’indifferenza e, talvolta, la complicità indiretta nei confronti del fenomeno delle stesse contribuisce a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica e dei Governi, concentrati su altre emergenze. Ma di fronte a eventi che sorprendono i nostri giorni richiedendo sforzi, risorse e risposte impreviste, spesso è proprio la soluzione d’emergenza a prendere il sopravvento su una seria cultura della prevenzione capace di dotarsi di obiettivi, strumenti e risorse per garantire costanza e durevolezza alla presa in carico dei problemi.
Ne è una riprova, in molti Paesi, la caduta degli impegni programmatici, dei servizi istituzionali e delle risorse; l’offerta che per decenni ha presidiato l’avanzare delle dipendenze è stata, in molti casi, ridotta a un marginale baluardo, investito del compito di frenare in solitudine la desertificazione provocata da anni di disattenzione.
L’odierno quadro offerto dalle dipendenze mostra, in molti casi, proprio lacune nella progettualità, nelle politiche e nelle prospettive, segna un passo stanco e inadeguato di fronte a un mercato della droga molto competitivo e flessibile rispetto alla domanda, sempre disponibile a offerte nuove, per esempio oppiacei sintetici estremamente potenti di recente creazione, ecstasy e anfetamine. Proprio il crescente e diffuso consumo di ecstasy può fungere da indicatore di come l’uso di sostanze illecite abbia ormai invaso spazi quotidiani e come il tossicodipendente non si identifichi più con l’eroinomane, ma con il nuovo profilo del poliassuntore, che fa ricorso contestualmente a sostanze e alcol.
Di conseguenza, le strategie di intervento non possono essere solo specialistiche o di riduzione del danno, né possono ancora considerare la droga quale fenomeno collusivo con il disagio sociale e la devianza. La riduzione del danno deve necessariamente comportare sia la presa in carico tossicologica sia l’integrazione con programmi terapeutici personalizzati, di carattere psicosociale, senza mai dare adito a forme di cronicità, lesive della persona ed eticamente riprovevoli. Finalizzata a evitare i danni collaterali alla dipendenza, la riduzione del rischio esprime, invece, istanze di natura più epidemiologica che terapeutica configurandosi come una strategia di controllo sociale e profilassi igienica. Il vero rischio è che essa possa portare, in modo più asettico e meno visibile, alla morte psicologica e sociale del tossicodipendente, differendone quella fisica.
Considerare le persone irrecuperabili è un atto di resa che smentisce le dinamiche psicologiche preposte al cambiamento e offre alibi al disimpegno del tossicodipendente e alle istituzioni che hanno il compito di prevenire e di curare. In altri termini, non si può accettare che la società metabolizzi l’assunzione di droghe al pari di un cronico tratto epocale, similmente all’alcolismo e al tabagismo, ritraendosi da un serrato confronto sui margini di libertà dello Stato e del cittadino di fronte dell’uso di sostanze.
Analogamente non si devono minimizzare le dipendenze che nascono e si sviluppano con caratteristiche complesse, connesse a evidenze cliniche preesistenti o conseguenti all’uso di sostanze psicoattive: è il caso della cosiddetta «doppia diagnosi», terreno del disturbo psichiatrico, che molto esige in fase di trattamento.
«È evidente che non c’è un’unica causa che porta alla dipendenza dalla droga, ma sono molti i fattori che intervengono, tra i quali, la mancanza di una famiglia, la pressione sociale, la propaganda dei trafficanti, il desiderio di vivere nuove esperienze. Ogni tossicodipendente porta con sé una storia personale diversa, che deve essere ascoltata, compresa, amata, e per quanto possibile, guarita e purificata. Non possiamo cadere nell’ingiustizia di catalogare il tossicodipendente come se fosse un oggetto o un meccanismo rotto; ogni persona deve essere valorizzata e apprezzata nella sua dignità per poter essere guarita»[6].
Le «buone pratiche» contro la standardizzazione rassegnata o la delega ai pochi dotati di buona volontà, ci richiamano al dovere della prevenzione, atteggiamento di sollecitudine volto al «prendersi cura» in termini di promozione della salute nella sua accezione più ampia e completa. Politiche e strategie di ampio respiro, fondate sulla prevenzione primaria, non possono non richiamare tutti gli attori sociali, ripartendo dall’impegno a educare.
Lo scenario con il quale tutti ci dobbiamo confrontare è contrassegnato dalla perdita di antichi primati da parte della famiglia e della scuola, dallo svuotamento di autorevolezza delle figure adulte e dalle difficoltà che si registrano sul piano genitoriale; ciò testimonia che questo non è tempo di protagonismi bensì di «reti» capaci di riattivare le sinapsi sociali educative superando le inutili competizioni, le deleghe e le forme di deresponsabilizzazione. Per evitare che i giovani crescano senza «cura», più allevati che educati, attratti da «protesi curative», come sanno ben apparire le droghe, ogni attore sociale deve connettersi e investire su un terreno condiviso di valori educativi di base e imprescindibili orientati alla formazione integrale della persona. È da rimarcare, a questo proposito, l’impegno e la costanza di professionisti e volontari del privato sociale che, sin dall’emergere del problema droga, hanno approntato le prime risposte. Il loro lavoro, spesso poco valorizzato, merita sostegno concreto e doverosa attenzione. Dalle Comunità terapeutiche, tra l’altro, provengono segnali di cambiamento di alto valore educativo, utili nei percorsi riabilitativi e ancor più nel campo della prevenzione.
L’aspetto educativo è fondamentale, soprattutto nel tempo vulnerabile e incompiuto dell’adolescenza, quando si alternano momenti intensi di scoperta e curiosità, ma anche di depressione, apatia e comportamenti che mettono simbolicamente o realmente in pericolo la vita. Queste condotte, volutamente trasgressive, sono finalizzate ad abbattere la sofferenza causata dalla sensazione di trovarsi davanti al muro insormontabile di un presente che non finisce mai e di un avvenire che non si riesce a intravedere. Sono appelli a vivere, ma anche appelli all’aiuto e al sostegno rivolti ad adulti capaci di trasmettere il gusto della vita e il senso di quanto sia preziosa[7].
I giovani, ha affermato papa Francesco, «cercano in molti modi la “vertigine” che li faccia sentire vivi. Dunque, diamogliela! Stimoliamo tutto quello che li aiuta a trasformare i loro sogni in progetti, e che possano scoprire che tutto il potenziale che hanno è un ponte, un passaggio verso una vocazione (nel senso più ampio e bello della parola). Proponiamo loro mete ampie, grandi sfide e aiutiamoli a realizzarle, a raggiungere le loro mete. Non lasciamoli soli. Perciò, sfidiamoli più di quanto loro ci sfidano. Non lasciamo che la “vertigine” la ricevano da altri, i quali non fanno che mettere a rischio la loro vita: diamogliela noi. Ma la vertigine giusta, che soddisfi questo desiderio di muoversi, di andare avanti»[8].
Per contrastare la felicità effimera delle dipendenze servono amore creativo e adulti capaci di insegnare e praticare una sana cura di sé. Una visione spirituale dell’esistenza, proiettata alla ricerca di senso, aperta all’incontro con gli altri, costituisce la più grande eredità educativa che oggi più che mai le generazioni si devono tramandare.
Diversamente, le dipendenze contribuiranno ad uccidere l’umanità poiché sappiamo bene che colui che non si ama non è neppure capace di amare il suo prossimo.

Città del Vaticano, 26 giugno 2017

Card. Peter Kodwo Appiah Turkson
Prefetto del Dicastero per il Servizio
dello Sviluppo Umano Integrale



[1]Papa Francesco, Discorso ai partecipanti alla 31ma edizione dell’International Drug Enforcement Conference, 20 giugno 2014.
[2] Ibidem.
[3] Dipartimento politiche antidroga, Relazione annuale al Parlamento sull’uso di sostanze stupefacenti e sulle tossicodipendenze in Italia per l’anno 2016.
[4] Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, Relazione europea sulla droga, 2017.
[5] Il «no a ogni tipo di droga» è stato ribadito più volta da papa Francesco. Cfr., per esempio, l’Udienza generale del 7 maggio 2014.


[6] Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze su Narcotics: Problems and Solutions of this Global Issue, 24 novembre 2016.
[7] Cfr. David Le Breton, Cambiare pelle. Adolescenti e condotte a rischio, Bologna, EDB, 2016.
[8] Papa Francesco, Discorso al Convegno pastorale diocesano sul tema Non lasciamoli soli! Accompagnare i genitori nell’educazione dei figli adolescenti, 19 giugno 2017. 

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